del Prof.Federico Valerio
In Italia, di pari
passo con lo sviluppo industriale e l'abbandono delle tradizionali attività
agricole, forestali e artigianali, si sono ridotte le aree del Paese in cui la
qualità dell' aria potrebbe definirsi buona, in base ai criteri stabiliti dalle
Leggi nazionali.
Il Decreto
legislativo 155 del 2010, individua i composti tossici pericolosi per la salute,
la cui presenza nell'aria deve essere regolarmente controllata per verificare
che le loro concentrazioni medie siano inferiori a specifici valori,definiti
come obbiettivi di qualità dell'aria.
Ad esempio
l'obiettivo di qualità per le polveri sottili, in particolare per quelle il cui
diametro è inferiore a 10 micron (10
millesimi di millimetro) e definite PM10 è stato stabilito pari a 40 microgrammi
(milionesimo di grammo) per metro cubo d'aria, come media annuale.
Questo significa
che, se 365 misure giornaliere di PM10, realizzate regolarmente nell'arco di un
anno, fanno registrare un valore medio superiore a 40 ug/m3 (ad esempio 41
ug/m3), il territorio controllato dalla centralina e' fuori legge,
in quanto la qualità della sua
aria è peggiore a quella che la Legge, oggi giudica accettabile per la salute di
chi quell'aria respira.
In questo caso, il
Decreto impone alle Regioni interessate l'attivazione d'interventi finalizzati a
migliorare la qualità dell'aria e a portarla a valori, almeno pari all'obiettivo
di qualità, in questo esempio 40 ug/m3.
Per raggiungere
quest’obiettivo e' necessario individuare la fonte che produce la maggiore
quantità di polveri sottili e adottare tutte gli accorgimenti utili per ridurre
le sue emissioni in atmosfera.
I monitoraggi
effettuati dopo gli interventi di risanamento faranno fede sull’efficacia degli
interventi adottati: anno dopo anno la concentrazione media di PM10 deve essere
inferiore a 40 ug/m3 e più bassi saranno i valori riscontrati, meglio
sarà.
Quest’ obiettivo
si può raggiungere adottando trattamenti fumi più efficienti (filtri a maniche,
marmitte catalitiche), utilizzando combustibili più "puliti (metano al posto del
carbone e del gasolio), aumentando l'efficienza energetica degli impianti e
delle abitazioni.
Oggi, in Italia,
la rete di monitoraggio segnala che gran parte delle aree industriali e delle
aree urbane del nostro Paese non rispettano gli obiettivo di qualità per il
PM10.
In particolare e'
"fuorilegge" gran parte della Pianura Padana, dove si concentrano le centraline
che nel 2011 hanno registrato almeno 35 giorni con concentrazioni di PM10
superiori a 50 microgrammi per metro cubo (ug/m3).
Questo dato
negativo è stato registrato presso 212 centraline di monitoraggio, il 48% di
tutte le centraline di monitoraggio operative in Italia nel 2011.
La Tabella 1
riporta, in dettaglio, le misure
dell’inquinamento da PM10 registrate nelle zone trafficate di alcune città e i
valori contemporaneamente registrati in alcune aree rurali del nostro Paese.
Nella Tabella sono riportati in grassetto i valori superiori ai limiti di legge
definiti dal Decreto Legislativo n.155 del 2010.
TABELLA 1 Concentrazioni di PM10 e numero di giorni con superamenti di 50 ug/m3
nel 2011
|
Media
annuale
microgrammi/m3
|
n. giorni con valori di PM10 superiori a 50
microgrammi/m3
|
Aree urbane
trafficate
|
Torino
|
50
|
133
|
Brescia
|
42
|
105
|
Milano
|
50
|
131
|
Parma
|
42
|
93
|
Verona
|
48
|
128
|
Padova
|
42
|
93
|
Firenze
|
38
|
59
|
Terni
|
36
|
69
|
Aree
rurali
|
Renon
(Bolzano)
|
9
|
0
|
Piana rotaliana
(Trento)
|
25
|
19
|
Cavaso del Tomba
(Treviso)
|
19
|
19
|
Denice Costa
(Alessandria)
|
17
|
9
|
Donnas
(Aosta)
|
22
|
39
|
Febbio / Reggio
E.
|
9
|
0
|
Casa Stabbi
(Arezzo)
|
13
|
0
|
Brufa
(Perugia)
|
20
|
14
|
Qualità
dell'aria in zone rurali e montane
Le aree rurali del
nostro Paese sono state individuate come zone di controllo dell'inquinamento
atmosferico prodotto dai cosiddetti inquinanti primari, quelli direttamente
prodotti dalle attività umane: traffico, riscaldamento domestico, attività
produttive.
La Tabella
1 mostra che queste aree, e i loro abitanti, nel 2011 hanno goduto di un’ottima
qualità dell’aria con valori medi annuali delle PM10 nettamente inferiori agli
attuali limiti di legge.
Anche il
numero di giorni con elevato inquinamento (PM10 superiore a 50 microgrammi/m3) è
molto basso.
Nei casi
riportati nella Tabella1 solo il sito di Donnas, in Val d’Aosta fa registrare un
lieve superamento del limite massimo di 35 giorni all’anno.
Quest’invidiabile
caratteristica, che si accompagna ad altre rare qualità di queste zone del
nostro Paese (scarso traffico veicolare, bassa densità abitativa, bassi livelli
di rumore, bel paesaggio, clima mite, buona cucina, ottima accoglienza,
produzioni agro-alimentari di qualità) ricercate da turisti e villeggianti, da
qualche tempo è sotto attacco a causa del proliferare di progetti e
costruzioni di centrali termoelettriche alimentate a biomasse
legnose.
Questa
novità interessa in particolare le zone collinari e montane del nostro paese,
dove la “pulizia” di grandi boschi è diventata la scusa per realizzare facili
guadagni usando la legna per produrre energia elettrica, pratica che gode
d’interessanti incentivi pubblici, garantiti dal Gestore dell’Energia per almeno
15 anni.
Poiché non
tutti lo sanno, è utile ricordare che questi soldi vengono da una tassa sulla
bolletta della luce (denominata A3), introdotta nel 1999 per incentivare le
fonti di energia rinnovabile e che, mediamente, pesa nel bilancio famigliare con
83 euro all’anno, usati per alimentare il mercato dei “Certificati
Verdi”.
Grazie ai
Certificati Verdi chi produce elettricità da fonti rinnovabili, riceve dal
Gestore della Rete un compenso, per ogni chilowattore immesso in rete, circa tre
volte maggiore di quello pagato all’elettricità da fonte fossile (carbone,
metano).
Quanto pesa una centrale a
biomasse sul territorio che la ospita
La normativa a tutela dell’ambiente
e della salute richiede alle Regioni di redigere piani di risanamento
dell’aria.
Tra gli
strumenti tecnici utili per redigere il piano di risanamento è prevista la stima
delle emissioni d’inquinanti prodotti annualmente dalle principali fonti civili
ed industriali presenti sul territorio di ciascun comune.
In questo
modo si valuta la pressione ambientale che queste attività esercitano sul
territorio e si possono facilmente individuare le priorità
d’intervento.
Questa
stima si realizza tramite un censimento di tutte le fonti emissive e il
successivo calcolo dell’inquinamento prodotto annualmente da ciascuna fonte a
cui si applicano specifici fattori di emissione, elaborati a livello
europeo
In questo
capitolo prenderemo due centrali a biomassa, che denomineremo Centrale A e
Centrale B, recentemente proposte nel centro Italia.
I Comuni
che dovrebbero ospitarle si trovano in aree collinari, con importanti superfici
boscate, in un contesto a prevalente attività agricola e turistica.
La
popolazione dei Comuni che dovrebbero ospitare le due centrali è,
rispettivamente di 7.500 e 1.500 abitanti.
In entrambi
i Comuni, gli standard di qualità dell’aria degl’inquinanti primari sono
ampiamente e costantemente rispettati.
Le due
centrali, hanno una potenza elettrica installata, inferiore a 1 Mega watt (1000
Kilo watt) e utilizzano biomasse legnose (centrale A 18.000 ton/anno; centrale
B: 11.400 ton/anno).
Per
produrre elettricità le centrali utilizzano due diverse tecnologie: forno a
griglia nella Centrale A; piro-gassificazione della biomassa e uso
del gas prodotto (syngas: miscela di ossido di carbonio e metano) per alimentare
motori a combustione interna abbinati ad alternatori, nella Centrale
B.
Entrambe le
centrali prevedono moderne linee di trattamento fumi: catalizzatori per ridurre
gli ossidi di azoto e filtri a maniche per le polveri sottili
Le due
centrali producono prevalentemente elettricità che è immessa nella rete
elettrica e, in entrambi i progetti, non si prevedono significativi recuperi di
calore per il tele-riscaldamento degli edifici e abitazioni.
Per
entrambi le centrali sono state calcolate le quantità d’inquinanti che
immetteranno nell’ambiente durante il loro funzionamento che è previsto continuo
per 24 ore su 24, con le sole interruzioni programmate per la manutenzione degli
impianti, stimati pari a una trentina di giorni all’anno.
Il calcolo
delle emissioni annuali è stato fatto in base alle concentrazioni medie degli
inquinanti presenti nei fumi, valori dichiarati dai proponenti, e alla portata
dei camini. In tutti i due casi le concentrazioni di inquinanti, in uscita dai
camini, sono ampiamente inferiori ai limiti di legge.
Le Tabelle
2 e 3 riportano i valori delle emissioni annuali delle Centrali A e B e le stime
delle emissioni annuali provenienti da tutte le fonti inquinanti presenti nei
rispettivi territori comunali (traffico, riscaldamento domestico,
agricoltura…).
TABELLA 2:
Centrale A: stima della quantità d’inquinanti emessi da tutte le
attuali fonti presenti sul territorio comunale e delle emissioni annuali della
centrale
Inquinante
|
Emissioni totali
territorio comunale
tonnellate/anno
|
Emissioni
centrale A
tonnellate/anno
|
Variazione
%
|
Polveri
totali
|
57
^
|
1,3
|
+ 2,3
|
Anidride
solforosa
|
9
|
6,6
|
+
73,3
|
Ossidi di
azoto
|
123
|
26,3
|
+
21,4
|
Monossido di
carbonio
|
804
|
6,6
|
+ 0,6
|
^ PM10
TABELLA 3. Centrale B: stima della quantità d’inquinanti emessi da
tutte le attuali fonti presenti sul territorio comunale e delle emissioni
annuali della centrale
Inquinante
|
Emissioni totali
territorio comunale
tonnellate/anno
|
Emissioni
centrale B
tonnellate/anno
|
Variazione
%
|
Polveri totali
|
16,1 ^
|
0,82 ^
|
+
5,1
|
Anidride solforosa
|
1,1
|
12,3
|
+
1.118
|
Ossidi di azoto
|
14,5
|
16,1
|
+
111
|
Monossido di carbonio
|
124,7
|
16,4
|
+
13,1
|
^
PM10
Le Tabelle
2 e 3 mostrano come la pressione
ambientale esercitata da ognuna delle
centrali a biomasse sul territorio ospitante potrebbe essere tutt’altro che trascurabile.
Per
entrambi i Comuni, la pressione maggiore deriverebbe dall’immissione in
atmosfera di anidride solforosa e di ossidi di azoto.
Più
contenute, ma non trascurabili le quantità di polveri che le centrali a biomasse
potrebbero aggiungere all’aria dei territori che dovrebbero
ospitarle.
In termini
relativi, la centrale B sarebbe quella che eserciterebbe la pressione maggiore
sul territorio ospitante.
La Tabella
3 mostra che, nel Comune B, con l’entrata in funzione della centrale a biomasse
raddoppierebbero le emissioni di ossidi di azoto mentre la quantità di ossidi
zolfo aumenterebbe di ben 11 volte.
Tutto
questo ha una semplice spiegazione.
Il Comune B
ha una popolazione di un migliaio di abitanti, non ospita attività industriali e
il suo unico inquinamento di una certa importanza è quello del riscaldamento
invernale, peraltro non particolarmente elevato, in quanto il paese è servito
dalla rete di distribuzione del gas naturale.
Non a caso,
il turismo estivo e le attività a esso correlato sono la principale fonte di
reddito dei residenti del Comune B.
Con le centrali a biomasse come
cambia la qualità dell’aria?
Ovviamente
l’immissione in atmosfera di diverse tonnellate di’inquinanti peggiorerà la
qualità dell’aria dei territori sottovento agli impianti.
Gli stessi
proponenti confermano che le concentrazioni medie al suolo aumenteranno, ma
poiché la somma dell’attuale inquinamento e di quello nuovo prodotto dalle
centrali comporterà valori inferiori ai limiti di Legge, questo peggioramento è
considerato accettabile.
Le Aziende
Locali Sanitarie (ASL), a cui è delegato il parere sanitario sugli impianti,
hanno fatto proprie queste affermazioni e di fatto autorizzato
l’inquinamento.
Stupisce che l’autorizzazione delle ASL all’entrata in funzione delle centrali a
biomasse non abbia tenuto conto delle recentissime raccomandazioni
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, alla luce di studi epidemiologici
condotti in Europa, ha riconosciuto che rischi sanitari gravi sono stati
riscontrati anche a concentrazioni di
PM2,5 inferiori a 10 ug/m3, ossia inferiori ai limiti che la nostra Legislazione
prevede di introdurre nel 2020.
Riteniamo anche discutibile che le ASL non abbiano tenuto conto della
possibile presenza di aree sensibili, nelle immediate vicinanze delle centrali,
quali scuole e impianti sportivi.
In questi casi, quanto meno, riteniamo che sarebbe stato doveroso, da
parte delle ASL, invocare il Principio di Precauzione a tutela della salute
della popolazione più giovane.
Le stesse ASL, conseguentemente, avrebbe dovuto esprimere un proprio
giudizio negativo rispetto al fatto che l’attività delle centrali non preveda
efficaci interventi di teleriscaldamento.
L’utilizzo del calore a bassa temperatura (pari a circa l’80% del
potere calorifico del cippato utilizzato), con un adeguato dimensionamento
dell’impianto, durante il periodo invernale, avrebbe potuto permettere lo
spegnimento di numerosi impianti termici utilizzati nei due Comuni, in
particolare quelli alimentati a legna.
Certamente impianti domestici alimentati a legna di vecchia
generazione (camini aperti, stufe), a parità di calore prodotto, emettono in
atmosfera una maggiore quantità d’inquinanti rispetto a quelli emessi dalle
centrali a biomasse.
Una progettazione delle centrali che fosse partita dall’analisi dei
bisogni energetici del territorio ospitante gli impianti, con una cogenerazione
a misura delle esigenze locali, avrebbe potuto ottemperare agli obiettivi del
D.lgs 155/2010, addirittura migliorando ulteriormente la qualità dell’aria del
Comune ospitante, qualora le emissioni spente avessero un carico inquinante
superiore a quello della centrale.