Al Ministro dello Sviluppo Economico
Dott.
Corrado Passera
Via Molise, 2
00187 ROMA
e p. c. Al Presidente del Consiglio
dei Ministri
Palazzo Chigi
Piazza Colonna, 370
00187 ROMA
AL MINISTRO DELL’ECONOMIA
Dott. Grilli
Al Ministro dell’Ambiente e
della
Tutela del Territorio e del Mare
Via Cristoforo Colombo, 44
00147 ROMA
Al Ministro per il Turismo
Via Ferratella in Laterano, 51
00184 ROMA
Al Presidente della Giunta Regionale
Dell’Abruzzo
Palazzo
dell’Emiciclo
67100 L’AQUILA
Al Parlamento Europeo
Avenue du President R. Schuman
CS 91024, F-67070
STRASBURG CE
Ai Presidenti delle Province di
Chieti,
Teramo e Pescara
Ai singoli Parlamentari Abruzzesi
Ai singoli Consiglieri Regionali
Della Regione Abruzzo
Al Presidente della Giunta Regionale
Della Puglia
Lungomare Nazario Sauro, 33
70121 BARI
Al Presidente della Giunta Regionale
Del Molise
Via XXIV Maggio, 130
86100 CAMPOBASSO
Al Presidente della Giunta Regionale
Delle Marche
Via Gentile da Fabriano, 9
60122
ANCONA
A Segretari Nazionali di tutti i partiti politici
Abbiamo
letto dei Suoi propositi di facilitare la diffusione in Italia delle
trivellazioni per la ricerca e l’estrazione di petrolio e gas allo scopo di ridurre
del 20% la dipendenza da petrolio e da gas stranieri e ne abbiamo riportata la
netta impressione che Lei non abbia una visione completa e approfondita di
tutti gli aspetti della questione, per la quale sembra abbia dato credito solo alle opinioni interessate dei petrolieri
e dei loro amici. E ci scusi per la nostra franchezza.
Va detto innanzitutto che non c’è in Italia una struttura
tecnica dello stato che, in condizioni di monopolio, estragga gli idrocarburi
dal suolo del nostro paese e li adoperi per calmierare il mercato e per incamerare
i profitti. In realtà le compagnie
che operano in Italia sono quasi tutte straniere e sono esse a diventare
proprietarie degli idrocarburi estratti e a immetterli sul mercato ai prezzi
correnti. Allo Stato italiano vanno solo delle royalties, le più misere del
mondo, e cioè il 4% degli idrocarburi estratti in mare e al massimo il 10% di quelli estratti sulla
terraferma, anzi della quantità di idrocarburi che le Compagnie dichiarano di
aver estratto nell’uno e nell’altro caso.
Ci
permettiamo pertanto di richiamare alcuni dati, peraltro rilevabili nel sito
del Suo Ministero: in 110 anni, e cioè fino al 2010, i pozzi perforati del nostro Paese sono stati 5.424 in
terraferma e 1.681 in mare (di questi in Abruzzo, che è la regione in cui opera
l’associazione scrivente, sono stati rispettivamente 554 e 136). Le
perforazioni che hanno dato esito positivo in Italia sono state 3.942. Di tutti i pozzi perforati in questi 110 anni
sono restati attualmente attivi meno di 1.500 e produttivi meno di 1.000. Va rilevato il dato allarmante
del carattere effimero delle imprese estrattive: le 181 imprese alle quali, dal
1949, sono stati dati permessi di ricerca e coltivazione di idrocarburi in
terra e in mare, hanno cambiato
titolarità in media tre volte nel corso
dell’affidamento; in Abruzzo le imprese attualmente in esercizio sono 23,
di cui 12 sono vecchie e 11 sono le
compagnie “nuove”, che gestiscono pozzi attivi e di dette imprese solo due
hanno i requisiti tecnici, economici e finanziari necessari.
Le imprese
che operano nel nostro Paese sono solitamente straniere e sono state
“italianizzate” intestandole in massima parte ad ex dipendenti di industrie
petrolifere nazionali (case madri alle quali i predetti ex dipendenti sono
legati), hanno sede, per pura formalità, in studi legali o notarili, hanno
capitali irrisori (di 4 o 5 mila Euro) e a causa della loro dimensione non
presentano bilanci a nessuno; alcune sono s.r.l. e, in caso di necessità,
impiegherebbero pochi minuti a sparire. Inoltre c’è una scissione tra la
gestione tecnico-operativa degli impianti, mentre la gestione commerciale e fiscale
è riservata ad organizzazioni fatte da uomini di paglia, che spesso adottano
contabilità semplificata (= niente bilanci): così le multinazionali, pur di non
pagare e di non garantire, non si vergognano di apparire degli straccioni. Il risultato è che nessuna di queste imprese operanti nel
nostro Paese - neppure l’ENI – è davvero in grado di fronteggiare un evento
disastroso.
Orbene, la
verità è che, nonostante il recepimento della direttiva europea cosiddetta
“Golfo del Messico”, ci sono opacità e plateali violazioni di legge nelle
procedure del rilascio di permessi, concessioni, proroghe e rinnovi.
Inoltre non
si tiene in alcun conto, ad esempio, che
il mare Adriatico, su cui si appuntano molti appetiti dei petrolieri, è un mare
fragile, chiuso, con lenti ricambi di acqua, già sottoposto a decine e decine
di concessioni petrolifere avanzate lungo la costa dei Trabocchi, alle isole
Tremiti, in Salento, lungo la riviera emiliana e marchigiana, da parte di ditte
straniere che ripetutamente assicurano ai loro investitori che trivellare in
Italia è facile ed economicamente conveniente. Quelli in produzione in Abruzzo sono attualmente 15 in terraferma, tutti
per l’estrazione del gas, e 56 in mare,
di cui 26 per l’estrazione del gas.
Lo
stesso scenario si ripete nel mar Ionio e in Sicilia.
Non vi pare che questi mari meritino di essere protetti per il godimento delle generazioni presenti e future e non venduti al miglior offerente straniero per pochi spiccioli e per il miraggio di posti di lavoro che, nell’industria petrolifera, sono sempre molto pochi ? E poi non è forse vero che, per ogni posto di lavoro che si crea nell’industria petrolifera, tanti di più se ne distruggono nell’agricoltura e nel turismo ?
Non vi pare che questi mari meritino di essere protetti per il godimento delle generazioni presenti e future e non venduti al miglior offerente straniero per pochi spiccioli e per il miraggio di posti di lavoro che, nell’industria petrolifera, sono sempre molto pochi ? E poi non è forse vero che, per ogni posto di lavoro che si crea nell’industria petrolifera, tanti di più se ne distruggono nell’agricoltura e nel turismo ?
A chi, come il presidente di Nomisma Energia, vorrebbe eliminare ogni limite di distanza
dalle coste, va ricordato che lungo le coste americane vige il divieto assoluto
di trivellare e di eseguire ispezioni sismiche a meno di 160 chilometri dalla
riva, per proteggere turismo ed ambiente. Occorre una visione lungimirante per
tutti i mari che bagnano il nostro paese e servono leggi che li proteggano
dalle trivellazioni selvagge e interdicano la realizzazione di nuovi pozzi
petroliferi, coinvolgendo, per l’Adriatico,
anche le comunità costiere della ex-Yugoslavia. Poiché se in Adriatico si verificasse un
incidente anche mille volte più piccolo di quello del Golfo del Messico, questo mare diverrebbe un mare morto per i prossimi
cento anni. Al già citato presidente della Nomisma Energia – che si lamenta del
fatto che a Miglianico in Abruzzo la gente, con alla testa il vescovo, si è
opposta allo sfruttamento di un giacimento – voglio ricordare che annesso
all’impianto di estrazione e nel bel mezzo di una zona di vigneti di alto
pregio e in prossimità di abitazioni, sorgerebbe un impianto per la
desolforazione, definito pudicamente “Centro oli”: orbene, il limite di
tollerabilità di quel potentissimo veleno, che si produce nell’estrazione e nella
desolforazione dei nostri idrocarburi, e cioè l’idrogeno solforato, è, per la
legge italiana, 6 mila volte più alto del limite posto dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità e addirittura di 30 mila volte quello degli USA. Per non
parlare di un’alta concentrazione di elementi cancerogeni e mutageni, che si sviluppa
sempre intorno alle attività petrolifere. Lei Signor Ministro, vorrebbe vivere
in prossimità di tali impianti? Lei sa
che a Gela nasce una percentuale molto
alta di bimbi malformati ? Noi non sappiamo se Lei ha dei figli o dei nipoti: se
ne ha, vorrebbe che vivessero e
concepissero la loro prole a Gela o in altre consimili località ?
Infine,
per restare all’Abruzzo, va rammentata
la situazione che si verrebbe a creare in Val di Sangro ove fossero realizzati
dalla società americana Forrest Oil, i pozzi per l’estrazione del gas con
annessa raffineria, poco a valle della diga di Bomba, gli stessi pozzi che
l’AGIP, inizialmente titolare della concessione, rinunciò a realizzare
adducendo che la prevedibile subsidenza, in un’area geologicamente instabile
perché, investita da numerose frane e ai piedi di una diga di terra, avrebbe
potuto costituire un grave pericolo, che poteva essere scongiurato in un solo
modo: svuotando completamente il lago degli 80 milioni di metri cubi che lo
riempiono. Orbene, poiché l’abbassamento del suolo si è verificato dovunque in
Italia hanno fatto estrazioni, è altamente possibile che, verificandosi anche
in questo caso, possa essere accelerato lo scatenarsi di frane (purtroppo
tuttora in atto) e ne possa essere destabilizzata la diga. E’ appena il caso di
ricordare che nel nostro Paese le tragedie sono quasi sempre annunciate e che
in questa valle vivono 15 mila abitanti e vi sono fabbriche che danno lavoro a
circa 13 mila operai e ne fanno un epicentro dello sviluppo industriale del
Centro-Sud. C’è qualcuno che, in questo governo, vuole passare allo storia
legando il suo nome ad una prevedibile catastrofe? Infine le royalties : esse sono pagate solo da imprese che
commercializzano direttamente i prodotti, mentre quelle che hanno permessi di
ricerca e prospezione pagano solo un canone miserrimo di affitto delle aree.
Inoltre le imprese assoggettabili al pagamento delle royalties, sono esentate
per periodi e produzioni iniziali dell’attività, così se esse cambiano
titolarità finiscono per non pagare niente: così erano solo 5 fino al 2010 le
Compagnie che le versavano, e solo 9 nel
2012, ditalché il totale dei versamenti nel 2011 è stato di Euro
276.529.819,37.
Se tutto quel che diciamo è vero, vale la
pena devastare ulteriormente il suolo dell’Italia, cioè di un paese
intensamente antropizzato e la cui
ricchezza irrinunciabile consiste nella bellezza del paesaggio e nel suo
sterminato patrimonio artistico e monumentale?
Per restare all’Abruzzo, va ricordato che
questa regione ha scelto da alcuni decenni un tipo di sviluppo fondato
sull’industria manifatturiera, sulla preservazione dell’ambiente con la
creazione dei parchi che coprono oltre il 30% del suo territorio (ed anzi altri
parchi reclama, come quello della Costa Teatina, che dovrà essere attraversato
da 40 km di pista ciclabile che si snoderà lungo la vecchia area di sedime
della ferrovia), sul turismo e su un’agricoltura volta a immettere sul mercato
prodotti d’eccellenza. Si illude
chi pensa che le popolazioni di questa terra possano tornare indietro rispetto
a queste scelte ed accettare un destino di regione mineraria petrolifera, così
come vuole la Legge Obiettivo del 2008. Ne è la prova il fatto che due
associazioni, Nuovo Senso Civico e Difesa Beni Comuni, hanno raccolto in
Abruzzo ben 50.150 firme, poi inviate ai ministeri interessati, sotto una
petizione che chiedeva, sulla base di una legge del 91, la revoca di tutti i
permessi di ricerca e di estrazione di idrocarburi, “per gravi motivi
ambientali”.
Signor Ministro, non dovremmo essere noi a
ricordarLe che quando si intende compiere un atto di governo, bisogna sempre
avere l’accortezza di chiedersi non solo se ci sono vantaggi effettivi, ma
anche quali le prevedibili interazioni e gli effetti nella vita civile di una
nazione: anzi proprio nel vedere ogni problema nella sua complessità consiste
l’arte del governo. Ebbene, lo faccia anche in questo caso e senza alcun
pregiudizio, si dedichi personalmente ad una indagine approfondita per la quale
Lei ha mezzi e capacità personali, e soprattutto non affidi l’esame delle
questioni che poniamo ai tecnici del settore e scoprirà con quale disinvoltura
i petrolieri, nel silenzio e nell’acquiescenza generali, violino le leggi; e da
ultimo constaterà che, in materia di
petrolizzazione dell’Italia, sono infinitamente maggiori i rischi che il Paese
verrebbe a correre e i danni che
subirebbe rispetto ai vantaggi che ne ricaverebbe. Nell’attesa di una risposta
non formale, Le porgiamo distinti ossequi.
Nuovo Senso Civico
Il
Presidente
Alessandro Lanci
AGGIORNAMENTO DAL MONDO REALE DEL 25 AGOSTO 2012:
Almeno 24 persone - tra cui un bambino di 10 anni - sono morte e oltre 50 sono rimaste ferite nell'esplosione avvenuta in mattinata in una raffineria di petrolio nell'ovest del Venezuela.
L'esplosione e' avvenuta nella piu' grande raffineria di petrolio del Venezuela, la Amuay refinery, ed e' stata provocata da una perdita di gas. Lo scoppio ha provocato danni alla struttura e alle abitazioni che si trovano nelle vicinanze. I servizi di emergenza sono sul posto dove fumo e fiamme sono visibili al di sopra della struttura ed e' in corso l'evacuazione degli abitanti. Il governatore locale, Stella Lugo, ha riferito che la situazione adesso e' sotto controllo. ''Non ci sono rischi di altre esplosioni'', ha detto.
Il vicepresidente venezuelano, Elias Jaua, ha affermato che "la situazione è adesso sotto controllo". "In queste ore - ha aggiunto - la priorità è l'attenzione ai feriti e cercare di salvare il maggior numero di vite umane".
La raffineria di Amuay, che produce 645mila barili di greggio al giorno, e' parte del Paraguana Refining Center, uno dei complessi di raffinerie piu' grandi al mondo, con una capacita' complessiva di 955 mila barili al giorno.
AGGIORNAMENTO DAL MONDO REALE DEL 25 AGOSTO 2012:
Venezuela: esplosione in raffineria, almeno 19 morti e 48 feriti
Tra loro anche un bambino di 10 anni, 50 feriti
25 agosto, 17:28 (Agenzia ANSA)Almeno 24 persone - tra cui un bambino di 10 anni - sono morte e oltre 50 sono rimaste ferite nell'esplosione avvenuta in mattinata in una raffineria di petrolio nell'ovest del Venezuela.
L'esplosione e' avvenuta nella piu' grande raffineria di petrolio del Venezuela, la Amuay refinery, ed e' stata provocata da una perdita di gas. Lo scoppio ha provocato danni alla struttura e alle abitazioni che si trovano nelle vicinanze. I servizi di emergenza sono sul posto dove fumo e fiamme sono visibili al di sopra della struttura ed e' in corso l'evacuazione degli abitanti. Il governatore locale, Stella Lugo, ha riferito che la situazione adesso e' sotto controllo. ''Non ci sono rischi di altre esplosioni'', ha detto.
Il vicepresidente venezuelano, Elias Jaua, ha affermato che "la situazione è adesso sotto controllo". "In queste ore - ha aggiunto - la priorità è l'attenzione ai feriti e cercare di salvare il maggior numero di vite umane".
La raffineria di Amuay, che produce 645mila barili di greggio al giorno, e' parte del Paraguana Refining Center, uno dei complessi di raffinerie piu' grandi al mondo, con una capacita' complessiva di 955 mila barili al giorno.
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