sabato 3 gennaio 2009

TERMINATOR CI HA INVIATO UN RACCONTO


Un tale che lavora al Centro Oli di Viggiano ci aveva detto con il tono di chi la sa lunga e vuole interrompere il dialogo che presso la sede della Regione Basilicata c’era la centralina.
A sentir lui la centralina era una sorta di oracolo tecnologico in grado di aggiornare e tranquillizzare in tempo reale i sudditi lucani sulla qualità dell’aria della Val D’Agri ed i livelli di estrazione con le relative royalties.
Così al termine delle riprese e delle interviste ci siamo recati a Potenza.
L’episodio che sto per raccontarvi, insignificante solo all’apparenza, esprime molto bene il concetto di come il petrolio, prima ancora che il fisico, inquini lo spirito.
Il palazzo della Regione Basilicata a Potenza è moderno e ben tenuto ma stride con le costruzioni adiacenti, prive di qualsiasi riferimento stilistico, con il pessimo stato delle strade e con il diffuso senso di sciatteria della città; non ci sono dubbi, anche sotto il profilo urbanistico altro che Texas, la Basilicata è ben radicata nel più profondo meridione italico!
Invece l’androne del palazzo della Regione, abbellito da piante ed opere d’arte, sembra l’entrata di una multinazionale ed inaspettatamente dà l’idea di efficienza e benessere.
Su un monitor di un circuito interno è possibile vedere scene del consiglio regionale presentate da un giornalista elegante e suadente mentre la telecamera inquadra i consiglieri ben vestiti ed abbronzati.
Ci siamo guardati ancora intorno ed abbiamo chiesto ad uno dei vigilantes, che sino a quel momento ci aveva decisamente ignorato, se poteva indicarci dov’era la centralina dell’ENI.
A quel punto è successo qualcosa.
Non eravamo più dei forestieri con i pantaloni militari, le scarpe impolverate e le magliette stropicciate dopo una mattina di lavoro al sole, eravamo qualcosa di molto diverso ma soprattutto di molto importante.
Forse per l’accento o forse per i modi fatto sta che ci hanno scambiato per tecnici dell’ENI e la risposta dei vigilantes, mentre spostavano le foglie di una chenzia per mostrarci ciò che avevamo chiesto, è stato un fiume di scuse del tipo: … abbiamo detto più volte a Ravenna che non funziona … di solito è sempre accesa … si spegne da sola … forse un guasto alla linea... per fortuna che siete venuti voi … indicando - con il servilismo dell’oste descritto da Ennio Flaiano nel libro “La Solitudine del Satiro” - un totem d’acciaio, essenziale e ieratico, con il cane a sei zampe e la scritta ENI incisi a sbalzo, sormontato da un monitor spento.
Quando il mio collega Carlo fece notare che sia la spina elettrica che il collegamento alla rete dati erano staccati i vigilantes se la presero con la squadra delle pulizie ma, nonostante Carlo avesse ripristinato i collegamenti, il totem restava muto e spento!
I vigilantes della Sede della Regione Basilicata erano imbarazzati più che mai. Uno di loro andò a telefonare alla manutenzione mentre quello che era rimasto vicino a noi continuava a scusarsi a mezza voce.
Si scusava con noi due identificandoci come una emanazione dei padroni, anche se impolverati e con la barba di un giorno, ma pur sempre dalla parte di coloro che erano abituati ad identificare come tali.
Dopo numerosi ed inutili tentativi di accensione, conditi da un altro fiume di scuse ossequiose, la situazione si stava facendo imbarazzante e così ci siamo defilati dicendo che andavamo in macchina a prendere la borsa degli attrezzi.
Non abbiamo potuto rilevare i dati sull’inquinamento riportati dalla centralina ma la breve visita alla sede della Regione Basilicata ci ha dato risposte ben più importanti.
Il vero inquinamento della Basilicata del petrolio che produce miliardi (che finiscono nelle tasche di pochi e comunque ben lontano dalla regione) e della miseria diffusa non è costituito dalla puzza velenosa emanata dal Centro Oli di Viggiano e dai vari pozzi sparsi un po’ dovunque.
Il vero inquinamento è la rassegnazione e l’omertà che avvolgono gli abitanti di fronte allo strapotere di un’entità invisibile ed astratta che governa i governatori, annichilisce le speranze ed avvolge questi territori bellissimi in un clima di distacco e di lontananza.
La Basilicata del petrolio, nonostante le strade e la ricchezza dei suoi giacimenti è ancora più lontana e più povera della Basilicata di prima ma soprattutto più rassegnata.
Il motivo conduttore di gran parte delle risposte ricevute insieme al diniego per le interviste era sempre lo stesso.
Ormai!
Ormai è fatta, ci hanno fregato… dobbiamo far finta di nulla… i fagiolini sono sempre buoni… la gente va via… mio padre è morto di tumore… mio zio… mio fratello… chi li sente quelli… quale lavoro… il vino non si fa più … mi devono ancora pagare il ristoro ambientale da dieci anni… la Regione non ha soldi… mio figlio… ma qui si vive bene… del resto prima o poi tocca a tutti…

E questo è vero. Solo che qui tocca un po’ prima, un po’ peggio e un po’ più che altrove.

Nel viaggio di rientro verso Ortona, sconsolati e depressi per quello che avevamo visto e documentato in val D’Agri mi sono tornati alla mente i racconti di un conoscente, nato in Venezuela da genitori abruzzesi, un tizio che ho avuto occasione di incontrare alcune volte a Boston insieme ad altri miei amici di lunga data che vivono lì da diversi anni, chiamerò questo personaggio Tom per tentare di evitare ogni possibile riferimento.
Tom era chiaramente un occidentale di stampo internazionale, esattamente quel tipo d’uomo senza radici capace di vivere dovunque, come lo sono molti funzionari di multinazionali che hanno abitato in giro per il mondo, ma era altrettanto chiaro che non era più italiano e non era mai stato venezuelano; uno così può vivere bene solo in America.
Tom si spacciava di essere un grande intenditore di belle cose e beveva, non vino buono però, ma whisky e ghiaccio e quando beveva si abbandonava a lunghi racconti in almeno tre lingue sulle sue esperienze, atteggiandosi come uno che conosce la vita, quella vera dei soldi e del potere.
Nonostante gli abiti ben intonati alla camicia ed alla cravatta, le scarpe italiane e l’aspetto curato era un tipo un po’ volgare e squallido, senza quell’aria vagamente interessante che hanno gli ubriaconi maledetti descritti da Bukowski. Tom era semplicemente un piccolo borghese mezzo alcolizzato e senza radici, in lotta con se stesso ed il suo passato.
Tom aveva studiato all’Agustìn Codazzi, la scuola italiana di Caracas, ed aveva girato il mondo in lungo ed in largo lavorando per le compagnie petrolifere.

Una sera arrivai all’appuntamento per l’aperitivo serale con una Cadillac presa a noleggio, non tanto per necessità ma per il semplice gusto di guidarne una. Era una macchina bellissima, silenziosa come un soffio, color crema e con i sedili di pelle rossa, guidabile e godibile solo negli Usa e non certo a Roma o nelle stradine delle bellissime città della provincia italiana.
Dopo un po’ che stavamo seduti a bere il nostro aperitivo Tom indicò la Cadillac parcheggiata imperiosamente davanti alla vetrina del bar ed incominciò a raccontare di quante Cadillac avesse avuto, guidato e, soprattutto, regalate. Si proprio così, regalate.
Ma non solo Cadillac, lui nella sua vita aveva regalato iscrizioni alle università negli USA, Rolex, scatole di cioccolatini piene di dollari e week end da Caracas a Santo Domingo e Miami comprensivi dell’accesso ai bordelli più esclusivi.
Mi raccontò che girava con le tasche sempre piene di soldi e di come pagava tutto in contanti e che avrebbe potuto parzialmente incamerare questi biglietti freschi di stampa e di banca ma che lui, onesto (lui in realtà diceva fesso), non l’aveva mai fatto.
Mi parlava in termini spregevoli dei destinatari dei regali; piccoli funzionari governativi, politici di medio livello, portaborse dei palazzi del potere, amanti di uomini del governo, professionisti e mediatori senza scrupoli.
Gli chiesi allora perché doveva distribuire tutti questi regali a questi piccoli funzionari e amministratori che mi descriveva con disprezzo.
Per lui fu un momento fantastico. Aspettava questa domanda, il suo racconto iniziale era solo l’esca per catturarmi in un racconto ancora più grande ed articolato.
Come un vecchio istrione si tese in avanti e guardandomi fisso alitò fuori la sua battuta ad effetto: Perché? Perché te lo dico io il perché e non dimenticarlo mai! Ricordatelo. Il petrolio governa il mondo ed io ero pagato, capito, pa-ga-to per far si che il petrolio, attraverso un esercito di yesman stipendiati da me, potesse governare senza problemi quella fettina di mondo che io avevo avuto in gestione!
Ero un soldato pagatore, non uno che combatte ma uno che corrompe.
I soldi non sono il re del mondo, il re del mondo, il monarca assoluto è il petrolio ed i soldi sono i suoi servi, i suoi soldati, le sue amanti, i suoi killer” il re petrolio non guarda i suoi sudditi, i suoi occhi sono puntati solo verso il denaro.
Quando arriva il petrolio nasce la felicità, quando il petrolio esce rumoroso dal pozzo inondando l’aria dei suoi miasmi appaiono come per magia i simboli della ricchezza ma la felicità iniziale pian piano scompare, insieme ad i campi ed ai sogni della gente del luogo. E la ricchezza? Quella c’è e tanta ma non la vede nessuno. Scompare nelle tasche di figure invisibili che tanto più diventano ricche tanto più vivono lontane dai fumi e dalla puzza dell’oro nero che ha generato la loro ricchezza.

Subito dopo Tom, con un gesto consueto, chiese un altro wiskey alla cameriera carina e gentile del vecchio bar di Harborside a Boston per poter continuare la sua storia di grande corruttore in un mondo che, diceva lui, ormai era finito.
Ma di quale mondo parlasse non ho l’ho mai capito.

Adesso voi vi starete domandando cosa c’entrano i discorsi di un vecchio dirigente di una multinazionale del petrolio, un po’ sballato dall’alcool, con la rassegnazione degli abitanti della Val D’Agri o con il servilismo ossequioso del vigilantes di Potenza o con il piccolo burocrate abruzzese a cui dicono di avallare cose che non solo ignora ma neppure capisce, riempiendo così faldoni di VIA e autorizzazioni formalmente legali.
Dovete riflettere e scoprire il nesso perché il nesso esiste e non è neppure piccolo.
Montate in macchina ed andate ai piedi della Maiella, a Lettomanoppello, sulle spiagge di Pineto o in uno qualsiasi dei trecento siti abruzzesi pronti per essere violentati dalle trivelle.
Andate a Contrada Feudo, guardatevi intorno a vedere il mare di Ortona, la Maiella, il Gran Sasso ed incominciate a riflettere.
Dopo aver riflettuto se avete un’arma da fuoco riconsegnatela insieme al porto d’armi, poi andate a cercare uno per uno, memorizzando bene i nomi, di chi vuole distruggere tutto questo a chiedete loro spiegazioni. Pretendete che siano chiare ed esaustive. E soprattutto non dimenticate i nomi!
Terminator

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