ENTRO IL 30 NOVEMBRE SI PUO' (E NOI DICIAMO SI DEVE) PARTECIPARE ALLA CONSULTAZIONE ON-LINE PROMOSSA DAL MINISTERO PER LO SVILUPPO ECONOMICO SULLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE PER I PROSSIMI ANNI.
Ci si può collegare al sito cliccando QUI e poi sulla pagina raggiunta cliccando su "partecipa alla consultazione" in basso a destra.
Riteniamo che sia molto importante far sentire la nostra voce su un argomento decisivo per il futuro delle persone, delle economie e dei nostri paesaggi di terra e di mare.
Il questionario ed i documenti che illustrano le intenzioni strategiche governative non sono il massimo della chiarezza ed anzi ci sono sembrati quasi un modo per scoraggiare la partecipazione.
Ma sapete bene che non ci lasciamo demotivare tanto facilmente specie se si sostiene di voler "incrementare e sviluppare la produzione nazionale di idrocarburi, sia gas che petrolio" e di "semplificare gli iter autorizzativi" perchè gli investimenti sono stati "limitati in questi anni da un contesto normativo e da un processo decisionale che hanno rallentato o fermato molte iniziative."
Se poi aggiungiamo il ruolo destinato all'Abruzzo l'orizzonte si fa maledettamente scuro: "In Abruzzo, dove hanno sede alcune delle principali società di servizio in ambito petrolifero, le attuali sedi potrebbero essere utilizzate come basi logistiche per lo sviluppo di nuove attività estrattive nel Sud Italia."
Da brivido.
Ma naturalmente non c'è solo il petrolio ed il discorso abbraccia tutto il campo energetico (finte rinnovabili come biomasse e biogas e poi quelle vere, mobilità e trasporti, ecc.).
Pertanto qui di seguito vi sottoponiamo le articolate risposte di NSC ad alcuni dei quesiti fornendo una panoramica sulle nostre posizioni e proposte in argomento.
Se volete potete trarne qualche spunto, ma l'importante è che si faccia sentire la nostra voce per non ritrovarci tra qualche anno, a nostra insaputa, massacrati per conto terzi.
Forza e avanti tutta!
QUESTIONARIO GOVERNATIVO SULLA
STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: LE RISPOSTE DI NUOVO SENSO CIVICO
Gli obiettivi
C1. La definizione degli obiettivi
principali implica delle scelte di trade-off con altri obiettivi di politica energetica
perseguibili. Quali eventuali obiettivi diversi dovrebbe indirizzare la
SEN, tenendo conto del contesto internazionale e del punto di partenza del
Paese?
Le priorità
C2. Le priorità di azione proposte
rappresenteranno le aree di maggior attenzione di politica energetica nel medio
periodo. Di quali eventuali diverse
priorità dovrebbe tenere conto la SEN per garantire il
raggiungimento degli obiettivi definiti per il settore?
GLI OBIETTIVI DIVERSI PERSEGUIBILI E LE
NOSTRE PRIORITA’
-Premessa
Il primo dato da cui partire è che l’Italia
ha una sovra-offerta di energia elettrica, dato ulteriormente accentuato
dall’attuale gravissima crisi economica di sistema.
Basta collegarsi sul sito dell’operatore Terna
per averne la conferma in tempo reale seguendo i grafici aggiornati ogni
quindici minuti: in Italia la potenza elettrica installata (ovvero la
potenza massima erogabile dalle centrali) è pressocchè doppia rispetto alla
richiesta.
Le autorevoli conferme a questo dato sono
molteplici e certamente non solo di parte.
E’ la stessa Confindustria ad affermare
che l’Italia “è un Paese che ha una sovracapacità ormai strutturale di
produzione elettrica di oltre il 30%” (fonte: QualEnergia.it - 20
luglio 2012).
Agostino Re Rebaudengo, Presidente dell’APER (Associazione
Produttori Energie Rinnovabili) dichiara: “L’Italia negli ultimi 10-15 anni
ha registrato ancora grandi investimenti in impianti tradizionali per la
produzione di energia. Il risultato, un po’ assurdo è che noi attualmente
abbiamo una capacità produttiva in grado di fornire il doppio dell’energia elettrica
che consumiamo. Gli impianti a gas e petrolio funzionano spesso al 40% delle
loro capacità. Devo dire che tuttora cerco di comprendere, e non ci riesco,
con quali criteri gli operatori continuano a investire in centrali alimentate a
metano.” (fonte: Sette Green/Corriere della Sera – 22 marzo 2012).
Chiunque di noi, girando per l’Italia, può
osservare decine e decine di pale eoliche ferme perché non c’è adeguata
richiesta di energia (secondo alcune stime è attualmente inattiva una pala
eolica su quattro).
La prima conclusione è quindi che, per quanto
riguarda l’energia elettrica, l’Italia non ha bisogno di ulteriori fonti di
approvvigionamento per il suo fabbisogno.
Naturalmente c’è poi il discorso di capire, all’interno
di questo fabbisogno, come rimodulare il peso delle varie fonti e questo lo
affronteremo più avanti.
-Primo obiettivo: il risparmio energetico,
la riduzione degli sprechi e la modifica degli stili di vita e di consumo.
Il mezzo più importante per ridurre la nostra
dipendenza energetica soprattutto dalle fonti più inquinanti e nocive per l’ambiente e
la salute umana quali quelle fossili (petrolio, carbone, gas naturale) è
sicuramente il risparmio energetico: nelle attuali condizioni
critiche sia ambientali che economiche l’uso dell’energia deve essere
ridotto piuttosto che aumentato. Programmi di risparmio energetico e
riduzione progressiva dei consumi inutili ed eccedenti sono quasi sempre di
facile e immediata attuazione se vi è la volontà politica a monte e la capacità
di rendere consapevoli e partecipi le comunità sui benefici collettivi che ne
conseguono. Va altresì sottolineato che molte opere e infrastruttture nel campo
energetico hanno risvolti occupazionali minimi (l’ENI qualche anno fa dichiarò
27 nuovi addetti a pieno regime per una nuova raffineria in cantiere) e spesso
la loro realizzazione determina risvolti molto negativi per le altre attività
economiche tradizionali di zona che vengono danneggiate da questi interventi.
La petrolizzazione della Lucania ne è un esempio lampante con il soffocamento
dei comparti economici tradizionali quali quello agricolo, vitivinicolo o del
turismo, oltre ai forti impatti in termini di salute. Questa sfortunata regione,
che ospita due tra le raffinerie più grandi d’Europa, resta sempre tra le zone
più depresse nelle classifiche economiche continentali.
Il discorso del risparmio energetico va
affrontato in parallelo con quello della modifica degli stili di vita e di consumo
che significa in questo caso riduzione dei rifiuti e delle conseguenze
negative derivanti dalla loro sovrabbondanza. Anche in questo versante il
governo centrale dovrebbe intervenire con leggi severe che riguardino la
riduzione degli imballaggi, gli obblighi di raccolta differenziata spinta porta
a porta, l’incentivazione di impianti e strutture quali quella attiva a
Vedelago in Trentino (che dà complessivamente lavoro a diecimila persone) di
recupero, riciclo e riuso dei rifiuti in modo da evitare la strada deleteria
delle discariche e degli inceneritori con tutte le conseguenze negative in
termini di salute, economia e conflittualità con le comunità locali.
Come si può evincere il discorso dei rifiuti si
intreccia strettamente con quello dell’energia e pertanto vanno affrontati
insieme in un’ottica complessiva che per entrambi abbia come premessa la
riduzione a monte.
-Secondo obiettivo: rimodulare il peso
delle varie componenti energetiche favorendo le fonti davvero pulite e
rinnovabili (fotovoltaico, solare, eolico, trattamento meccanico biologico a
freddo delle biomasse, idroelettrico, ecc.) che vanno valutate nelle forme di
installazione privilegiando quelle piccole e diffuse, realizzate alle migliori
condizioni tecnologiche e di sostenibilità sostituendole gradualmente a quelle
fossili tradizionali.
Le fonti fossili inquinanti, destinate
all’esaurimento ed ecomicamente sempre più insostenibili, di certo non vanno rilanciate
in ambito nazionale ma progressivamente abbandonate in favore di quelle davvero
rinnovabili e più pulite facendo però molta attenzione a come queste ultime vengono
pensate e realizzate, in quali condizioni e soprattutto se rientrano davvero in
questa categoria (come il caso scottante delle centrali a biomasse e biogas che
approfondiremo in seguito).
Riteniamo che in ordine di importanza vadano
sostenute le fonti da fotovoltaico e solare termico (molto adatte alle
condizioni climatiche italiane), l’energia eolica, l’energia idroelettrica, la
produzione di biometano attraverso il trattamento meccanico biologico a freddo
delle biomasse.
Naturalmente anche in questo campo bisogna
sempre seguire con attenzione gli aggiornamenti della comunità scientifica
internazionale che possono dare utili indicazioni favorevoli o meno
rispetto alle scelte perseguite. Un caso clamoroso al riguardo è quello della
combustione delle biomasse che rientra tuttora tra le fonti rinnovabili ma che
viene seriamente messa in discussione oltre che nel versante scientifico anche
a livello politico europeo per le recenti acquisizioni che ne stanno
dimostrando tutti gli effetti negativi in termini di salute, di inquinamento e
di impatto sul bilancio dei gas-serra immessi in atmosfera (vedi bibliografia
allegata).
Bisogna quindi sempre fare attenzione ai metodi
di progettazione e installazione anche per quelle fonti che attualmente
riteniamo le più auspicabili.
Ad esempio per i pannelli fotovoltaici scegliamo
sempre l’installazione sui tetti delle abitazioni, degli edifici pubblici o dei
capannoni industriali meglio ancora se contemporaneamente andiamo a bonificare
con la sostituzione delle coperture in amianto. Evitiamo il più possibile di
metterli a terra, soprattutto nelle campagne dove vanno a sfrattare vigneti e
uliveti procurando così un inutile inaridimento dei terreni.
Scegliamo per tutte le fonti le soluzioni più
piccole, diffuse e meno impattanti che esistono. Documentandosi adeguatamente ce
ne sono anche per l’energia eolica o idroelettrica.
Capitolo a parte quello scottante delle biomasse
e del biogas che ha rivelato parecchi retroscena molto negativi alcuni
dei quali legati all’incentivazione distorsiva dei certificati verdi
(finanziati da tutti gli utenti attraverso le bollette elettriche) indirizzata
esclusivamente alla produzione di energia elettrica, ignorando completamente
l’energia termica.
Negli ultimi anni moltissimi studi scientifici
di alto livello (vedi bibliografia allegata) sia internazionali che nazionali,
tra i quali quelli sviluppati dal prof. Federico Valerio, direttore del
dipartimento di chimica ambientale dell’Istituto di Ricerca sul cancro di
Genova, hanno messo pesantemente in discussione la qualifica di fonte
rinnovabile pulita attribuita alla produzione di energia in queste
centrali. E’ stato dimostrato che, nel
loro ciclo di vita completo e a causa delle modalità con le quali vengono
realizzate, nella stragrande maggioranza dei casi costituiscono una fonte
altamente inquinante che peggiora il bilancio di gas serra emessi in atmosfera
ed il cui rendimento è molto scarso (se non ci fossero gli incentivi statali
nessun imprenditore si butterebbe in un’impresa del genere) perché, specie
nelle varianti a combustione diretta,
viene bruciato e disperso in atmosfera attraverso i fumi il 60%-65% di energia
prodotta non contemplando accorgimenti per il suo recupero attraverso reti di
teleriscaldamento e teleraffreddamento, oppure, nel caso delle centrali a
biogas, la depurazione dello stesso per ricavarne biometano da immettere
direttamente nella rete metanifera nazionale o la trasformazione in
combustibili liquidi da utilizzare per la trazione veicolare.
Nel caso delle biomasse, soprattutto
lignee-cellulosiche, stanno vacillando perfino le certezze della Comunità
Europea: lo scorso 20 marzo il Parlamento Europeo ha chiesto che le regole di
calcolo delle emissioni di carbonio siano revisionate per quanto concerne le
biomasse perché ci si è resi conto che esiste uno sfasamento tra il debito di
carbonio causato dal taglio di un albero che viene poi trasportato e bruciato e
il tempo necessario per la crescita di un nuovo albero in grado di assorbire
tanto carbonio quanto il precedente il che porta a concludere che la
combustione delle biomasse non fa altro che aumentare le concentrazioni di Co2
in atmosfera peggiorando così l’effetto serra e contribuendo all’alterazione
del clima globale e andando in definitiva a minacciare gli obiettivi europei di
riduzione di Co2. Viene messa in discussione anche la biomassa da residui
di rifiuti compostati e agricoli che può alterare la fertilità dei suoli,
causare un maggior uso di fertilizzanti, lo sperpero di grandi quantità d’acqua
e in definitiva rese più basse.
Recentemente (agosto 2012) un rapporto
pubblicato dall’”Accademia Nazionale delle Scienze tedesche Leopoldina”, molto
critico sull’uso delle biomasse a fini energetici, ha concluso che la loro
combustione, oltre ad altri effetti collaterali negativi, è molto poco
ecologica e non contribuisce alla riduzione delle emissioni di Co2 in atmosfera
come possono fare i più utili sistemi eolici e fotovoltaici oppure l’efficienza
energetica.
Se non vengono rispettate una serie di specifiche
condizioni che quasi mai si realizzano proprio a causa della redditività legata
agli incentivi statali (condizioni che elencheremo in seguito) queste sono
le principali cause che sconsigliano l’installazione di centrali a biomasse o
biogas:
- Tali centrali, in misura variabile in base alle tecnologie e soluzioni adottate, sviluppano sostanze altamente inquinanti tra le quali le polveri sottili e ultrasottili, gli ossidi di azoto e di carbonio, i furani, i metalli pesanti, l’ozono e in particolare 4 sostanze ufficialmente classificate “cancerogene” dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) quali il benzene, la formaldeide, le diossine e gli idrocarburi policiclici aromatici. La pericolosità di questi composti non è dovuta solo alla loro concentrazione nell’aria inalata ma anche alla loro deposizione sul suolo ed all’accumulo crescente nella catena alimentare. L’inquinamento deriva anche dal trasporto su camion di queste biomasse che nella maggioranza dei casi provengono da centinaia se non migliaia di km. di distanza (come il caso dell’olio di palma dall’Indonesia responsabile della deforestazione in quelle zone proprio per fare posto alle coltivazioni dedicate a questo commercio) in barba all’auspicabile “filiera corta” ed alla presunta risoluzione di problemi locali di smaltimento di scarti alimentari o liquami zootecnici.
- Per quanto riguarda le centrali a biogas alimentate a mais, oltre all’aspetto etico di coltivare un alimento da destinare alla combustione, c’è da rilevare come occorrano enormi quantità di terreni dedicati allo scopo, che andranno seminati e trattati chimicamente con un uso dissennato di d fertilizzanti e antiparassitari che inquinano essi stessi, minano la fertilità dei terreni e consumo enormi quantità d’acqua ottenendo come corollario quello di stravolgere e compromettere l’intera agricoltura tradizionale che vedrà ridotti i suoi spazi e la sua qualità dalla prepotenza di questa concorrenza insostenibile. Contro questo tipo di deriva si è pronunciato ultimamente, in un’intervista a “La Repubblica” del 9 maggio 2012, il fondatore di “Slow Food” Carlo Petrini, una delle personalità italiane più ascoltate e apprezzate nel mondo, il quale ha tra l’altro segnalato che “forse non è un caso che la Regione Emilia Romagna nelle sue linee guida abbia vietato gli impianti a biogas nei territori dove si produce il Parmigiano Reggiano”. Qui entra pesantemente in gioco il fattore economico che impone scelte molto nette e una ferrea scala di priorità;
- Infatti le centrali a biomasse e biogas provocano un danno economico alle comunità ospitanti per i risvolti inquinanti che possono danneggiare le attività circostanti non solo agricole ma anche di trasformazione alimentare o della ricettività turistica (agriturismi, alberghi ecc.), per l’invasività e concorrenza nelle coltivazioni, per un svalorizzazione dei patrimoni immobiliari circostanti quali case, terreni e proprietà varie;
- I rischi di incidenti sono molto elevati come dimostrano alcuni recenti “report” sulle centrali a biogas in Germania dove nonostante i controlli dal 2010 sono stati registrati quasi 100 incidenti con gravi episodi di inquinamento, sversamenti, esplosioni e incendi che hanno causato diversi feriti oltre ai danni ambientali (vedi elenco in allegato). I tedeschi stanno dimostrando di voler abbandonare progressivamente il biogas e non vorremmo che quelle tecnologie, diventate ormai obsolete, venissero dirottate in Italia con tutte le conseguenze del caso;
- I risvolti occupazionali diretti sono minimi e sicuramente non riescono a compensare la perdita di posti di lavoro indotta da queste installazioni sulle attività di zona incompatibili.
Per qualificare correttamente questi tipi di
impianti come fonti davvero rinnovabili e sostenibili e proporle in alcuni casi
come soluzioni alternative andrebbero rispettate alla lettera una serie di
condizioni che andiamo ad elencare:
- Che la filiera sia davvero corta nel senso che con queste installazioni si vada a risolvere un problema locale effettivo e preesistente di smaltimento di scarti alimentari, vegetali o di bestiame di tale quantità da rappresentare un serio problema in zona;
- Che le centrali non siano realizzate a combustione diretta altamente inquinante ma vengano previsti i cosiddetti impianti TMB (Trattamenti Meccanici Biologici) a fermentazione anaerobica a freddo, ossia senza combustione, con la depurazione e trasformazione del biogas in biometano che può essere sia immesso direttamente nella rete metanifera nazionale (migliorandone la bolletta complessiva con la riduzione delle importazioni) che utilizzato con un’apposita rete per il teleriscaldamento e il teleraffreddamento per gli edifici pubblici e privati circostanti permettendo così lo spegnimento e l’eliminazione di tante singole caldaie ed il raggiungimento di un miglioramento nel bilancio totale delle emissioni (e dell’inquinamento) e di benefici anche di natura economica per gli utenti.
- Che l’installazione di questo tipo di impianti vada a migliorare le condizioni complessive della qualità dell’aria mediante la sostituzione e lo spegnimento di fonti maggiormente inquinanti. Qui interviene la Comunità Europea con la direttiva 96/62/CE, recepita dall’Italia con D.L. n°351 del 4/8/99, che all’articolo 1 individua tra i suoi obiettivi quello di “mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove è buona, e migliorarla negli altri casi”.
- Occorre infine un ripensamento sugli incentivi in modo che essi vadano a premiare solo le tecnologie più avanzate e rispettose dell’ambiente, allarghino il loro campo d’azione dalla produzione di energia elettrica a quella termica in modo da favorire forme di recupero del calore che altrimenti andrebbe in grandissima parte disperso in atmosfera attraverso i fumi con conseguenze negative in termini di inquinamento e danni alla salute degli esseri viventi. Gli incentivi andrebbero anche destinati alla ricerca ed all’industria per la realizzazione di tecnologie all’avanguardia che potrebbero essere esportate con risvolti positivi sulla bilancia commerciale e l’economia nazionale in genere.
Il percorso di decarbonizzazione al
2030-2050
C3. La strategia non si
propone una definizione di dettaglio del sistema energetico al 2030 o 2050,
proponendosi di mantenere un approccio
flessibile alla
decarbonizzazione: quali diversi punti di vista e relative
implicazioni in termini di politica energetica?
C4. Se la scelta di fondo europea è quella di un’economia decarbonizzata,
gli obiettivi post-2020 potrebbero essere orientati unicamente alla riduzione
di emissioni, lasciando libero ogni Paese di scegliere il proprio approccio nel
modo più flessibile senza obiettivi specifici su rinnovabili e efficienza
energetica. Quale prospettiva più
opportuna per il nostro Paese?
C5. Come osservato, diverse tecnologie non ancora
mature potrebbero avere un impatto rilevante sul nostro sistema nel lunghissimo
termine. Quali diverse
prospettive o approccio da adottare su questi o altri fattori di discontinuità?
L’efficienza energetica
C6. Quali ulteriori barriere hanno impedito
finora una più ampia diffusione di soluzioni di efficienza energetica e quali possibili azioni e strumenti
(esistenti o nuovi) possono essere lanciati? Come rendere più efficace il
sistema dei controlli sugli standard e sulla qualità dei servizi (i.e. le
certificazioni degli immobili) senza generare costi e nuovi forme di
burocratizzazione?
Il punto di partenza irrinunciabile da cui trarre ogni tipo
di conclusione è che l’intero paesaggio italiano, da nord a sud, è in
condizioni di grave dissesto idro-geologico che lo rendono estremamente
vulnerabile, come dimostrano i ricorrenti drammatici eventi alluvionali.
Questa condizione è l’esito prevedibilissimo di decenni di
cementificazioni selvagge, condoni edilizi a grappolo, erosione selvaggia dei
suoli e mancate politiche di prevenzione e manutenzione. Lo stesso governo
Monti sembra adesso rendersene conto vista la proposta di legge del ministro
Catania detta appunto “salva suoli”.
Si pensi che nel solo Abruzzo negli ultimi 10 anni c’è stato
un tasso di crescita della cementificazione del 9%, superiore a quelli della
Lombardia (8%) e del Veneto (7,3%).
La mancata prevenzione rappresenta non solo un danno
ambientale e umano evidente ma incide pesantemente sulle casse dello Stato e
sul bilancio della Sanità nazionale perché gli interventi emergenziali
posteriori sono molto più onerosi ed assai meno efficaci rispetto ad una
oculata e previdente programmazione.
E’ proprio da questa che si deve ripartire per una grande
campagna di riassestamento paesaggistico e di ristrutturazione edilizia che
limiti il più possibile nuove inutili costruzioni ma vada ad intervenire sul
risanamento e l’efficientamento sotto ogni punto di vista (strutturale,
energetico, di compatibilità ambientale) degli immobili già esistenti, pubblici
e privati.
Per quanto riguarda gli strumenti tecnici o le modalità per
simili interventi non crediamo sia difficile attingere alle innumerevoli
esperienze già in atto in altri paesi europei o extra-europei. Possiamo
soltanto suggerire uno degli interventi che vanno senz’altro effettuati per
primi, ossia la bonifica delle coperture e delle strutture in amianto attraverso
forme intelligenti di incentivo che propongano lo scambio tra l’amianto ed i
pannelli fotovoltaici in modo che l’eliminazione di questo materiale
altamente cancerogeno non rappresenti un’impresa dai costi insostenibili per le
famiglie e continui a restare un incubo nel paesaggio italiano (vedi
deterioramento o smaltimenti abusivi e incontrollati).
Per quanto riguarda i rischi di burocratizzazione è vero che
le procedure devono essere sicuramente snellite ma senza perdere di vista un
adeguato esame e controllo degli interventi per impedire tutti gli abusi che si
sono verificati negli anni per verifiche frettolose o incompetenti.
C7. In particolare per quanto riguarda i Certificati Bianchi, l’estensione dei soggetti
obbligati anche a società di vendita (come in Francia o in
Inghilterra) e/o ad altri operatori potrebbe aumentare il numero di soggetti
direttamente coinvolti, risultare più “vicino” ai clienti finali e alle loro
esigenze e quindi facilitare il raggiungimento degli obiettivi? Quali
opportunità di revisione del meccanismo in questo ambito?
C8. La mancanza di competenza e attenzione
nei settori industriali, soprattutto nelle aziende medio-piccole, è stata
segnalata da più parti come una criticità per il raggiungimento degli obiettivi
in questo settore. L’introduzione di obblighi
di audit energetici potrebbe contribuire a risolvere questa
criticità? Quali altre iniziative si potrebbero prevedere in questo ambito?
Lo sviluppo dell’Hub del gas
C9. Si concorda con l’esigenza di aumentare la capacità di importazione
attraverso lo strumento delle “Infrastrutture Strategiche”? Quanta nuova
capacità sarebbe necessaria e con quale tempistica? Quali i criteri di
selezione?
C10. Aumento
della liquidità sulla
borsa gas: quali strumenti più idonei per favorire lo sviluppo
di una borsa gas liquida e competitiva e incentivare lo spostamento di volumi
significativi di gas verso di essa?
C11. Opportunità e rischi di
una progressiva migrazione nell’approvvigionamento da un mercato legato a contratti di lungo periodo a un
mercato spot. Quale è il migliore mix tra i due nella
situazione italiana?
La risposta all’argomento dello sviluppo dell’Italia come
Hub del gas per l’Europa dev’essere allargata ad una prospettiva molto più
ampia che riguarda le peculiarità nazionali e le forme migliori e più proficue
per esaltarle e valorizzarle.
Non crediamo che il percorso preferibile sia quello di
trasformare l’Italia in una “autostrada del gas” per l’esportazione attraverso
la realizzazione di grandi opere di stoccaggio e metanodotti in zone pericolose
e sismiche (come quella di Sulmona in Abruzzo) a tutto beneficio di altre
nazioni o degli speculatori del momento.
Queste opere oltretutto (alla pari di quelle petrolifere)
vanno a danneggiare proprio le maggiori ricchezze nazionali che si chiamano
bellezza del paesaggio, storia, cultura, tradizioni, eccellenze vitivinicole e
gastronomiche che dovrebbero essere il perno fondamentale per l’esportazione dell’immagine
dell’Italia nel mondo e l’irresistibile forza di attrazione che comporta anche
un arricchimento nazionale senza controindicazioni.
L’Abruzzo, definito “regione verde d’Europa”, ha scelto da
anni una strada legata alla valorizzazione delle sue bellezze naturalistiche e
storiche e delle sue eccellenze ad esempio nel campo vitivinicolo e
gastronomico e su questo ha orientato i suoi investimenti e la sua legislazione
regionale: stravolgere tutto questo trasformandolo in distretto petrolchimico e
delle energie rappresenta una scelta insensata che porterebbe molti più danni
che vantaggi.
Le rinnovabili elettriche
C12. La Strategia prevede un continuo supporto agli investimenti in
rinnovabili, seppure con livelli di incentivo ridotto rispetto al passato (e
con un governo più attento dei volumi). Sono auspicabili scelte diverse? In
quale direzione?
Sulla ridefinizione degli incentivi vedere parte della
risposta ai quesiti 1 e 2.
Le rinnovabili termiche
C13. In aggiunta agli incentivi economici,
quali ulteriori strumenti a supporto
da valutare per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili termiche?
Vedere la parte della risposta ai quesiti 1 e 2 relativa a
teleriscaldamento e teleraffreddamento.
Le rinnovabili nei trasporti
C14. Quali possibili misure per favorire lo sviluppo della seconda e terza
generazione di biocarburanti? Quali interventi per far
sviluppare una filiera europea?
Analogamente al discorso sull’energia e sui rifiuti anche in
questo settore bisogna fare una doverosa premessa da cui discende tutto il
resto: non è più sostenibile un modello di sviluppo fondato sulla corsa al
consumo esasperato e su attività e comportamenti inutilmente energivori.
Anche per quanto riguarda i trasporti e la mobilità bisogna
privilegiare politiche di riduzione degli sprechi e di rimodulazione dei
modelli di mobilità che vadano a scoraggiare un uso eccessivo e inutile del
mezzo motorizzato privato a vantaggio di soluzioni meno nocive sulla salute
delle persone e dell’ambiente dal trasporto pubblico a tutte quelle soluzioni
già adottate o in via di adozione in tanti paesi europei ma anche nelle città
italiane più virtuose quali ad esempio l’estensione delle zone pedonalizzate e
delle piste ciclabili con le soluzioni
ad esse collegate (bike-sharing ossia scambio di bici pubbliche, trasporto
combinato treno-bicicletta, ecc), car-pooling (condivisione di auto) e
car-sharing (scambio di auto), parcheggi di scambio ed intermodalità,
progressiva elettrificazione dei mezzi di trasporto, progressiva sostituzione
del parco mezzi pubblico in direzione di veicoli meno inquinanti,
incentivazione di scelte orientate all’”impatto zero”, ecc., in modo da rendere
più sani, vivibili e attraenti i luoghi della nostra vita sociale.
L’Italia è, dopo gli Stati Uniti, la nazione con il più alto
rapporto di auto per abitante con la differenza che in America dispongono di
territori sconfinati mentre il nostro è piccolo, accidentato e con le più alte
densità di popolazione al mondo.
Vogliamo ricordare che recentemente il Centro Internazionale
di Ricerca sul cancro dell’OMS (Organizzazione Mondiale della sanità) ha
stabilito ufficialmente che i gas di scarico dei motori diesel sono causa
certa dello sviluppo del cancro del polmone e con ogni probabilità di
quello alla vescica attraverso l’emissione soprattutto delle polveri sottili e
del monossido di azoto. Analogo discorso si può fare per i mezzi a benzina con
studi scientifici altrettanto documentati e di alto livello. Sempre l’OMS ha
stabilito scientificamente la correlazione tra abbassamento dei livelli di
polveri sottili nel’aria e l’aumento della speranza di vita delle persone.
Se poi diamo uno sguardo all’ultimo “Report 2012”
dell’Agenzia Europea per l’Ambiente sulla qualità dell’aria nei paesi
dell’Unione nel quale l’Italia risulta maglia nera per sforamento delle
emissioni di polveri fini ed ultrafini, allora vediamo come sia obbligata la
scelta di una graduale ma decisa riduzione dell’uso spesso eccessivo ed inutile
dell’uso del mezzo privato a vantaggio di altre scelte di mobilità meno nocive.
In quest’ottica è valutabile l’uso per autotrazione del
biometano generato dagli impianti TMB di Trattamento Meccanico Biologico a
freddo dei quali abbiamo parlato nella risposta ai quesito n°1 e n°2.
Sviluppo delle infrastrutture e del
mercato elettrico
C15. Si condividono le principali sfide
delineate per il settore? Quali
ulteriori iniziative si suggeriscono di adottare per affrontare
tali sfide?
C16. Il documento considera
strategico un riequilibrio delle prospettive di valorizzazione dei cicli
combinati a gas, attraverso azioni per rendere competitivo sui mercati esteri
l’attuale surplus di potenza (riduzione del costo per la termoelettrica,
integrazione dei mercati dell’energia e dei servizi). Quali altre azioni si ritengono necessarie? Le
prospettive di policy sul contenimento della CO2
possono costituire un elemento significativo o un’area di azione su cui
puntare?
Rispetto all’esportazione di energia altre dovrebbero essere
le strade italiane legate alle sue peculiarità: non siamo e non vogliamo essere
l’Arabia Saudita, il Texas o la Norvegia, ma abbiamo la fortuna e dovremmo avere
il rispettoso orgoglio di essere l’Italia con le sue uniche, straordinarie e
spesso maltrattate bellezze.
Per quanto riguarda le politiche di contenimento delle
emissioni di Co2 fare riferimento alla risposta ai quesiti n°1 e 2.
C17. Tra le principali sfide,
non sono state comprese azioni che
riguardano il mercato retail
e gli strumenti di tutela
per singole categorie di clientela (domestico, PMI). L’attuale sistema italiano
ha attuato un elevato grado di tutela dei consumatori finali, in forme ritenute
dalla Commissione Europea compatibili con la liberalizzazione del settore. Si
ritiene invece rilevante definire obiettivi di cambiamento anche in questo
segmento e, se sì, in quale direzione?
La ristrutturazione della raffinazione e
della rete di distribuzione carburanti
C18. Quali interventi
privilegiare per la ristrutturazione e
lo sviluppo del settore della raffinazione?
C19. Quale è il modello
di ristrutturazione della distribuzione carburanti migliore per
la realtà italiana?
Non
vogliamo nessuna ristrutturazione in direzione di uno sviluppo del settore
della raffinazione, ma al contrario un suo progressivo abbandono attraverso
politiche di riconversione che privilegino altri campi di intervento meno
deleteri e più compatibili con le nostre vocazioni nazionali.
Va
evidenziato che la Norvegia, colosso mondiale nel settore petrolifero, ospita
sul suo territorio molto meno popoloso e più esteso del nostro solo 2
raffinerie, mentre l’Italia ne ha 18!
Il rilancio della produzione nazionale di
idrocarburi
C20. Quali sono le azioni/iniziative, a livello
nazionale, regionale e locale da adottare per favorire un maggiore coinvolgimento delle collettività
e sviluppare un processo condiviso di accettazione pubblica dei progetti
minerari?
C21. Quali ulteriori azioni sono auspicabili
per favorire lo sviluppo di realtà
industriali locali, attraverso la costituzione di distretti
tecnologici, aumentando quindi le ricadute dello sviluppo dei programmi di
investimento nel settore minerario?
In continuità con la risposta ai quesiti 18 e 19 diciamo che
l’Italia non solo non deve rilanciare la produzione nazionale di idrocarburi ma
deve adoperarsi al più presto per abbandonare questo settore in favore dei
moltri altri più puliti, maggiormente redditizi in termini economici ed
occupazionali e più all’avanguardia sui quali si stanno concentrando le nazioni
più evolute e lungimiranti.
Le esperienze petrolifere in Italia soprattutto nelle zone
di maggior impatto (Basilicata, Sicilia, Lombardia, E.Romagna, Venezia/Porto
Marghera) presentano un bilancio disastroso: diffusione di malattie e danni
ambientali, incidenti, scarsi risvolti occupazionali e contrasto deleterio con
altre attività produttive tradizionali di zona, ritorni economici risibili a
causa delle condizioni favorevolissime tutte a vantaggio delle società
proprietarie degli impianti.
Basti citare il caso delle “royalties”, ossia le percentuali
sulle estrazioni che devono pagare a Stato ed enti locali le società che
ottengono i permessi di ricerca e perforazione: in Italia con gli ultimi
provvedimenti arrivano ad un massimo del 7% o 10% mentre in altre nazioni
raggiungono il 90% del valore degli idrocarburi estratti.
Il petrolio italiano è quantitativamente scarso e di infima
qualità ma rappresenta un ottimo investimento per le piccole compagnie
straniere che vi investono grazie alle enormi agevolazioni fiscali ed ai
meccanismi che riducono al minimo il rischio di impresa, mantendo al contrario
alto quello per l’ambiente e la salute delle persone.
Le perforazioni in mare possono essere attualmente eseguite
a 12 miglia dalla costa (con il dubbio ancora non risolto sulle concessioni
date precedentemente quando in pratica non esistevano limiti) mentre ad esempio
negli Stati Uniti il limite è di 160 km da riva.
E perché mai le collettività dovrebbero accettare progetti
minerari che storicamente le hanno pesantemente penalizzate in termini di
salute, di danni alle economie locali, alle colture e produzioni tradizionali,
di svalorizzazione dei patrimoni immobiliari?
E’ ora di imboccare una strada radicalmente diversa.
Ecco cosa afferma il prof. Umberto Veronesi: “Per
cancellare il cancro dobbiamo ridurne al minimo l’incidenza eliminando le
cause. Oggi ne conosciamo molte, per esempio il fumo di sigaretta, l’essere
sovrappeso, l’obesità, alcuni virus, sostanze cancerogene note come
l’amianto e i combustibili fossili”. (fonte: Grazia – 8 novembre
2012)
Lo ribadisce autorevolmente anche la Chiesa cattolica
attraverso un documento ufficiale del 19 ottobre 2012 della CEAM (Conferenza
Episcopale Abruzzese e Molisana): “Noi, Vescovi delle Chiese che sono in
Abruzzo e Molise, ancora una volta leviamo alta la voce per denunciare le
‘ferite’ delle nostre terre, minacciate da progetti di ‘sviluppo’ che sono
invero segnati da gravi rischi ambientali, socio-economici e umani […]. Ci
riferiamo, in particolar modo, ai progetti di sfruttamento energetico, in
particolar modo petrolifero, su cui ci siamo già pronunciati come Conferenza
episcopale regionale nel 2008[…]. Con l’eventuale realizzazione dei progetti di
sfruttamento energetico non si sanerebbe la ferita della disoccupazione e della
recessione, si accrescerebbe il senso di abbandono e di sopraffazione che le
nostre genti percepiscono di fronte a chi esercita poteri decisionali, si
avanzerebbe nella spoliazione del nostro ambiente naturale e della nostra
economia agricola e turistica, in maniera irrevrsibile e irresponsabile. Questo
compito comune [la tutela della vita e la difesa del creato, ndr] veda
coinvolti tutti, in particolar modo coloro che, a livello locale, regionale e
nazionale, hanno ricevuto il mandato di governare lo sviluppo del territorio,
perché agiscano in nome del bene comune e non di una singola parte, prestando
ascolto al grido della nostra terra, del nostro mare, del nostro cielo […].
Il maggiore coinvolgimento delle collettività non significa
cercare a tutti i costi il loro consenso a scelte già prese in precedenza: le
comunità interessate, anche sulla base del “trattato di Ahrus” del 1998
sottoscritto dall’Italia, devono essere interpellate e coinvolte nei processi
decisionali riguardo opere ed interventi che incidono pesantemente sulla loro
vita quotidiana presente e futura, attraverso tutti gli strumenti che
permettano loro di valutare obbiettivamente ed esaurientemente le scelte
proposte.
Mai come in questi casi non sono sopportabili imposizioni
calate dall’alto con la scusa dell’interesse nazionale ma più che mai sono le
realtà di base che ospiteranno gli interventi a doversi esprimere al riguardo
avendo accesso a tutte le informazioni e documenti esistenti.
Modernizzazione del sistema di governance
C22. Riguardo il ridisegno delle competenze
tra Stato e Regioni, si
ritiene auspicabile una modifica del Titolo V della Costituzione?
C23. Riguardo la ripartizione di ruoli e
competenze tra Autorità per l’energia
elettrica e il gas, Governo e Parlamento, si ritiene
soddisfacente il disegno e l’attuazione dell’assetto corrente? Quali eventuali
revisioni potrebbero migliorare la governance del settore?
Ricerca e sviluppo nei settori
dell’energia
C24. In che modo sviluppare forme efficaci di partenariato pubblico-privato
e con quali strumenti?
Il pubblico deve agire soprattutto per orientare le scelte
di fondo rispettando i criteri guida che si è dato e poi adottare di
conseguenza politiche che incentivino o disincentivino determinate attività.
Prevenire è la forma più efficace e meno dispendiosa di
autotutela quando c’è il ragionevole dubbio della dannosità di determinate
scelte: è il ben noto “principio di precauzione” sancito dalla Comunità
Europea e recepito dallo Stato italiano che deve rappresentare un diritto
irrinunciabile di ogni Comunità in difesa del proprio benessere ed al quale
ogni amministratore pubblico è in dovere di ricorrere a difesa di tutti i
cittadini che rappresenta.
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