Aumento incidenza dei tumori nei siti italiani a rischio
Tumori nei siti italiani a rischio. La loro incidenza, secondo un'analisi condotta su 23 dei 44 siti d'interesse nazionale dello studio Sentieri, aumenta del 9% negli uomini e del 7% nelle donne,
per un totale rispettivamente di 57.391 e 49.058 nuovi casi
diagnosticati tra il 1996 e il 2005. Sono queste le anticipazioni
fornite a Siracusa dal Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione
primaria dell'Iss e dall'Associazione italiana registri tumori (Airtum).
A questo dato contribuiscono, in particolare, i tumori maligni di esofago, colon-retto, fegato,
colecisti e vie biliari, pancreas, laringe, polmone, pelle (melanomi),
rene e vie urinarie, vescica e linfoma non Hodgkin. Negli uomini,
inoltre, si osservano eccessi di mesotelioma e tumori maligni di prostata, testicolo ed encefalo.
Fra le donne, invece, si riscontrano tumori maligni della mammella, del
sistema linfoemopoietico nel suo complesso e, in particolare, della
leucemia mieloide cronica. In entrambi i generi, è stato osservato un deficit di tumori gastrici.
E se, infine, fra gli uomini è stato rilevato un deficit di leucemie
totali, linfoidi, anche croniche, fra le donne, è emerso un deficit di
tumori della tiroide, del corpo dell'utero e dei tessuti molli.
Sono questi i risultati preliminari
emersi dalla prima fase dell'indagine, presentati a Siracusa nel corso
della XXXVIII Riunione del Gruppo per la Registrazione e l'Epidemiologia
del cancro nei paesi di Lingua Latina (Grell), dell'Agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) e dell'Organizzazione
mondiale della sanità (OMS). Insomma, come ha spiegato al convegno
Stefano Ferretti, ex segretario nazionale Airtum, quello che sappiamo
oggi, in base a questi esiti preliminari, è che in certe zone, già
considerate "a rischio" perché inquinate, i SIN appunto, si registra in effetti un aumento dei casi di cancro.
"Avere queste e informazioni e conoscere queste dati è utile alle autorità per la tutela della salute, che hanno così conferme statistiche su quanto accade in determinati territori", ha detto
Ferretti. Compito del gruppo di lavoro Iss-Airtum è ora capire quale
sia il contributo dell'inquinamento ambientale all'incremento specifico
osservato per alcune sedi tumorali. Le analisi definitive sono attese
entro la fine del 2013.
L'ELENCO COMPLETO DEI SIN: Aree
industriali Val Basento (Potenza/Matera), aree industriali Porto Torres
(Sassari), aree litorale vesuviano (Napoli), bacino idrico fiume Sacco
(Roma/Frosinone), Balangero (Torino), Bari - Fibronit, basso bacino del
fiume Chienti (Fermo), Biancavilla (Catania), Bolzano, Brescia Caffaro,
Brindisi, Broni (Pavia), Casale Monferrato (Alessandria), Cengio e
Saliceto (Savona/Cuneo), Cerro al Lambro (Milano), Cogoleto-Stoppani
(Genova), Crotone-Cassano-Cerchiara (Crotone/Cosenza), Emarese (Aosta),
Falconara Marittima (Ancona), Fidenza (Parma), Gela (Caltanisetta),
laghi di Mantova e polo chimico, laguna di Grado e Marano
(Udine/Gorizia), litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano
(Caserta/Napoli), Livorno, Manfredonia (Foggia), Massa Carrara, Milazzo
(Messina), Orbetello (Grosseto), Pieve Vergonte (Verbano Cusio Ossola),
Pioltello Rodano (Milano), Piombino (Livorno), Pitelli (La Spezia),
Priolo (Siracusa), Sassuolo-Scandiano (Modena/Reggio Emilia), Serravalle
Scrivia (Alessandria), Sesto San Giovanni (Milano),
Sulcis-Iglesiente-Guspinese (Carbonia Iglesias/Cagliari/Medio
Campidano), Taranto, Terni Papigno, Tito (Potenza), Trento Nord,
Trieste, Venezia Porto Marghera.
Roberta Ragni
greenME
ABRUZZO. Oltre 1.100 impianti a rischio di incidente rilevante sparsi in tutta Italia e che interessano 739 comuni.
E' la fotografia scattata dal rapporto di Legambiente e Protezione civile 'Ecosistema rischio industrie', presentato a Roma. Alle domande rivolte alle amministrazioni comunali che ospitano impianti pericolosi hanno risposto soltanto 211 comuni (29%) fra cui non compare Taranto che - afferma il capo della Protezione civile Franco Gabrielli - «non ci risulta essere un comune non implicato da questo punto di vista».
Ma tace anche l’Abruzzo che di impianti ne conta 26 (su 20 comuni diversi). Per Gabrielli quello che «preoccupa di più» è che «siamo un Paese poco sensibile su questi temi: siamo in una sorta di limbo; quello che mi allarma è la mancanza di consapevolezza».
E infatti il rapporto parla di «informazione ancora insufficiente ai cittadini sui rischi e sui comportamenti da tenere in caso di emergenza» (solo 105 comuni, 50%); mentre «scuole (18% dei casi), centri commerciali (13%), strutture turistiche (8%), chiese (7%), ospedali (2%)» continuano a esser «presenti nelle aree a maggior rischio», definite aree di danno, in 104 comuni.
La concentrazione degli impianti (dai petrolchimici alle raffinerie che in caso di incidente possono provocare incendi, contaminazione di suoli, acque, aria) riguarda soprattutto Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna.
«I comuni - spiega Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente - hanno il compito fondamentale di fare da raccordo tra la pianificazione urbanistica e la presenza di insediamenti a rischio; spetta loro l'informazione ai cittadini».
Per Simone Andreotti, responsabile Protezione civile di Legambiente, è di «fondamentale importanza che tutti facciano la propria parte per rispettare la legge».
greenME
IN ABRUZZO CI SONO 26 IMPIANTI A RISCHIO RILEVANTE: ECCO L'ELENCO
In tutta Italia sono 1.100
(da PRIMADANOI.IT del 29 gennaio 2013)
ABRUZZO. Oltre 1.100 impianti a rischio di incidente rilevante sparsi in tutta Italia e che interessano 739 comuni.
E' la fotografia scattata dal rapporto di Legambiente e Protezione civile 'Ecosistema rischio industrie', presentato a Roma. Alle domande rivolte alle amministrazioni comunali che ospitano impianti pericolosi hanno risposto soltanto 211 comuni (29%) fra cui non compare Taranto che - afferma il capo della Protezione civile Franco Gabrielli - «non ci risulta essere un comune non implicato da questo punto di vista».
Ma tace anche l’Abruzzo che di impianti ne conta 26 (su 20 comuni diversi). Per Gabrielli quello che «preoccupa di più» è che «siamo un Paese poco sensibile su questi temi: siamo in una sorta di limbo; quello che mi allarma è la mancanza di consapevolezza».
E infatti il rapporto parla di «informazione ancora insufficiente ai cittadini sui rischi e sui comportamenti da tenere in caso di emergenza» (solo 105 comuni, 50%); mentre «scuole (18% dei casi), centri commerciali (13%), strutture turistiche (8%), chiese (7%), ospedali (2%)» continuano a esser «presenti nelle aree a maggior rischio», definite aree di danno, in 104 comuni.
La concentrazione degli impianti (dai petrolchimici alle raffinerie che in caso di incidente possono provocare incendi, contaminazione di suoli, acque, aria) riguarda soprattutto Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna.
«I comuni - spiega Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente - hanno il compito fondamentale di fare da raccordo tra la pianificazione urbanistica e la presenza di insediamenti a rischio; spetta loro l'informazione ai cittadini».
Per Simone Andreotti, responsabile Protezione civile di Legambiente, è di «fondamentale importanza che tutti facciano la propria parte per rispettare la legge».
I ‘MAGNIFICI’ 26
Stando al rapporto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del Mare 8 impianti sono in provincia di Chieti, 7 in provincia di L’Aquila, 7 nel Pescarese e 4 nel Teramano.
Nel Chietino il ministero segnala una società di produzione e deposito esplosivi a piane di Santo Stefano a Frisa, uno stabilimento chimico e petrolchimico a Gissi, una distilleria a Villa Caldari di Ortona, uno stabilimento chimico e petrolchimico a Punta Penna a Vasto, una ditta di produzione ed esplosivi a Casalbordino, un deposito di gas liquefatti a Chieti scalo, una società di stoccaggi sotterranei a Cupello, il deposito di oli minerali dell’Eni in contrada San Pietro ad Ortona. Nell’Aquilano ci sono i laboratori nazionali del Gran Sasso, una società che si occupa di produzione e deposito di esplosivi a Oricola e una seconda a Tagliacozzo. Nella lista viene inserita anche la Micron, un deposito di gas liquefatti a Barisciano, e altri due a L’Aquila. Nel Pescarese il ministero segnala oltre allo stabilimento chimico e petrolchimico di Bussi anche due aziende che producono esplosivi a Città Sant’Angelo e due depositi di gas liquefatti, un deposito di oli minerali a Pescara.
Nel Teramano rientrano invece lo stabilimento chimico e petrolchimico di Ancarano, un deposito di esplosivi a Teramo e lo stoccaggio sotterraneo della Edison di Cellino Attanasio.
Stando al rapporto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del Mare 8 impianti sono in provincia di Chieti, 7 in provincia di L’Aquila, 7 nel Pescarese e 4 nel Teramano.
Nel Chietino il ministero segnala una società di produzione e deposito esplosivi a piane di Santo Stefano a Frisa, uno stabilimento chimico e petrolchimico a Gissi, una distilleria a Villa Caldari di Ortona, uno stabilimento chimico e petrolchimico a Punta Penna a Vasto, una ditta di produzione ed esplosivi a Casalbordino, un deposito di gas liquefatti a Chieti scalo, una società di stoccaggi sotterranei a Cupello, il deposito di oli minerali dell’Eni in contrada San Pietro ad Ortona. Nell’Aquilano ci sono i laboratori nazionali del Gran Sasso, una società che si occupa di produzione e deposito di esplosivi a Oricola e una seconda a Tagliacozzo. Nella lista viene inserita anche la Micron, un deposito di gas liquefatti a Barisciano, e altri due a L’Aquila. Nel Pescarese il ministero segnala oltre allo stabilimento chimico e petrolchimico di Bussi anche due aziende che producono esplosivi a Città Sant’Angelo e due depositi di gas liquefatti, un deposito di oli minerali a Pescara.
Nel Teramano rientrano invece lo stabilimento chimico e petrolchimico di Ancarano, un deposito di esplosivi a Teramo e lo stoccaggio sotterraneo della Edison di Cellino Attanasio.
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