domenica 27 marzo 2011

RISPOSTA A CONFINDUSTRIA ABRUZZO E AI LORO AMICI SINDACALISTI, CGIL ESCLUSA




Stiamo assistendo da qualche tempo ad una controffensiva mediatica da
parte della locale Confindustria a proposito delle trivellazioni per
la ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Abruzzo. In questa
campagna propagandistica la Confindustria spara la prima balla, e
cioè che in detto settore lavorerebbero in Abruzzo seimila persone:
da una nostra ricerca emerge che gli abruzzesi che lavorano
nell’industria petrolifera in Abruzzo sono poche centinaia, poiché
la maggior parte lavora in altre regioni o all’estero; ci sono
inoltre un centinaio di stranieri.
La Confindustria promette poi grandi investimenti nel settore, capaci
di creare migliaia di posti di lavoro. Sono assolute bugie.
Nell’industria petrolifera i posti di lavoro sono sempre molto
pochi, al contrario, molti, e questa volta sul serio, sono quelli che
tale tipo di industria distrugge (nell’agricoltura e nel turismo):
si veda ad esempio quel che è accaduto in Basilicata e in Sicilia.
Nondimeno tali promesse, in un tempo di grave crisi occupazionale,
trovano orecchie sensibili in sindacati come la Cisl, la Uil e la Ugl
(ma non la Cgil, che si è schierata nettamente contro la
petrolizzazione della nostra terra).

Ormai sono noti i dati sulle centinaia di pozzi scavati negli anni per
l’estrazione di idrocarburi in terra e nel mare d’Abruzzo e
perciò non li ripeteremo. Vogliamo solo ricordare che il petrolio
abruzzese è molto scadente ed intriso di zolfo e perciò ha bisogno
di una prima lavorazione in loco, la desolforazione, nel corso della
quale viene immesso nell’atmosfera, oltre ad una quantità di
inquinanti cancerogeni e mutageni, anche un veleno potentissimo,
l’idrogeno solforato, il cui limite di tollerabilità è, per la
legge italiana ispirata dai petrolieri, 6 mila volte più del limite
posto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La Confindustria parla della ricchezza sotto la nostra terra che non
possiamo permetterci di lasciare inutilizzata: ma dimenticano di dire
che essa apparterrà alle industrie che avranno la concessione, che
sono piccole società straniere con scarsi o scarsissimi capitali (non
oso pensare che cosa accadrebbe in caso di incidenti !), in cambio del
pagamento allo Stato di percentuali miserabili, le cosiddette
royalties, che in Italia sono le più basse del mondo, e cioè il 7%
del petrolio estratto a terra e il 4% di quello estratto in mare (in
Libia, ad esempio, sono del 90%). La verità è che non c’è alcun
interesse della collettività a consentire l’estrazione del petrolio
nella Regione Verde d’Europa, ma anzi c’è un interesse di tutta
la società abruzzese a impedire questo scempio.

La posizione della Confindustria si spiega con la difesa a oltranza di
interessi particolari, come quello di qualche importante associato che
vuole fare affari con la sua attività di movimento merci nel porto o
che si ripromette grossi guadagni dalla trasformazione dell’approdo
di Ortona in terminal petrolifero.

Infine va rammentata la situazione che si verrebbe a creare in Val di
Sangro ove fossero realizzati dalla società americana Forrest, i
pozzi per l’estrazione del gas con annessa raffineria, poco a valle
della diga di Bomba, gli stessi pozzi che l’AGIP, inizialmente
titolare della concessione, rinunciò a realizzare adducendo che la
prevedibile subsidenza, in un’area geologicamente instabile perché
investita da numerose frane, e ai piedi di una diga di terra, avrebbe
potuto costituire un grave pericolo, che poteva essere scongiurato in
un solo modo: svuotando completamente il lago degli 80 milioni di
metri cubi di acqua che lo riempiono. Orbene, poiché l’abbassamento
del suolo si è verificato ovunque in Italia sono state fatte
estrazioni di idrocarburi ( in modo vistoso ad es. a Ravenna, dove
ogni anno per questo motivo sono costretti a rifare parte della rete
fognaria), è altamente probabile che, nel nostro caso, ne possa
risultare destabilizzata la diga. Se ciò avvenisse, come ci potremmo
liberare di quella enorme massa di acqua? Ce la beviamo?

E’ appena il caso di ricordare che nel nostro Paese le tragedie
sono quasi sempre annunciate e che in questa valle vivono 15 mila
abitanti e vi sono fabbriche che danno lavoro a circa 13 mila operai.
Bisogna riaffermare una verità: l’Abruzzo ha scelto da alcuni
decenni un tipo di sviluppo fondato sull’industria manifatturiera,
sulla preservazione dell’ambiente con la creazione dei parchi che
coprono oltre il 30% del suo territorio (ed anzi altri parchi reclama,
come quello della Costa Teatina, che dovrà essere attraversato da 40
km di pista ciclabile che si snoderà lungo la vecchia area di risulta
della ferrovia), sul turismo e su un’agricoltura volta a immettere
sul mercato prodotti d’eccellenza.

Si illude chi pensa che le popolazioni di questa terra possano
tornare indietro rispetto a queste scelte ed accettare un destino di
regione mineraria petrolifera, così come vuole la Legge Obiettivo del
2008. Oggi come ieri contro la Sangro Chimica, gli abruzzesi sapranno
marciare compatti contro questa prospettiva. E prima se ne renderanno
conto la Confindustria e le forze politiche abruzzesi e meglio sarà
per tutti.

Per tali motivi la battaglia contro la deriva petrolifera, frutto di
una scelta dissennata del governo, è destinata a divenire sempre più
intensa e a coagulare una partecipazione sempre più ampia. Vedrete
che alla fine vinceremo. Anzi, stiamo già vincendo.

Che altro significa l’arretramento delle piattaforme fino a cinque
miglia se non un parziale riconoscimento della giustezza della nostra
lotta ? E che altro significa la sospensione, almeno per ora, del
Centro Oli, o la legge regionale abruzzese che ha tentato di
reintrodurre il meccanismo dell’intesa stato-regione, o la proposta
di una legge da parte della Regione al Parlamento per vietare
qualsiasi trivellazione nell’Adriatico ?

E che altro significa il fatto che Nuovo Senso Civico e
l’Associazione difesa beni comuni hanno raccolto in tutto
l’Abruzzo ben 50 mila firme, con cui si apprestano a inondare
Regione e Governo?

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