mercoledì 12 maggio 2010

VI INVITIAMO A LEGGERE L'ANALISI DI Antonio Ciancio IN MERITO LA PETROLARIZZAZIONE DELL'ABRUZZO






Sangrochimica, protagonismo di massa e lotta contro la petrolizzazione dell’Abruzzo

maggio 9, 2010 di Antonio

Sabato scorso, su Il Centro, è apparsa una lunga intervista a Costantino Felice, docente di storia economica alla D’Annunzio e autore di diverse opere che hanno al centro l’Abruzzo, l’ultima delle quali, pubblicata da Donzelli nel 2008, porta il titolo “Mezzogiorno operoso. Storia dell’industria in Abruzzo”.

L’intervista fa un po’ il punto sullo stato della lotta degli abruzzesi per impedire che vada in porto lo sciagurato progetto portato avanti dall’ENI e da altre compagnie petrolifere anche straniere, con la sponsorizzazione del governo Berlusconi, che punta a trasformare l’Abruzzo, sia la terraferma che il mare, in una piattaforma di ricerca e sfruttamento del petrolio.

Si tratta di un progetto davvero senza senso. Non solo perché, a livello globale, i mutamenti climatici in atto spingono a muoversi in tutt’altra direzione. Ma anche perché l’Abruzzo è una regione con caratteristiche assai particolari che la petrolizzazione vanificherebbe non si sa per quanto tempo, con gravi ricadute negative per le popolazioni e sul piano dell’inquinamento e dal punto di vista della sua economia.

L’Abruzzo, nel corso della sua storia più recente, è riuscita a costruire la propria fuoriuscita dalla tradizionale arretratezza meridionale coniugando -dal punto di vista della struttura dell’economia- tre aspetti che possiamo definire virtuosi e che stanno alla base dello sviluppo conosciuto nei decenni a cavallo della seconda metà del secolo scorso: un’agricoltura molto sviluppata e innovativa (i cui prodotti -a partire dalla produzione vitivinicola- hanno ormai un mercato mondiale), una industria (sia grande che piccola e media) non inquinante e un turismo legato al mare e alla montagna, con la presenza di molti parchi e riserve sparsi in tutta la regione (non a caso, del resto, l’Abruzzo si fregia del titolo di Regione verde d’Europa).

Bene, la petrolizzazione porterebbe alla distruzione di questo connubio virtuoso tra agricoltura, industria e turismo, con le conseguenze che non è difficile immaginare.

Oggi l’economia abruzzese è in grande difficoltà, ma non è trasformando la regione in una piattaforma petrolifera che si esce dalla crisi. In questo modo, infatti, l’unico risultato certo sarebbe solo la distruzione delle sue risorse peculiari che, nei decenni trascorsi, hanno fatto la nostra fortuna. Al contrario, è proprio su queste risorse che bisogna continuare a puntare, naturalmente con tutte le innovazioni necessarie, con una politica economica e del credito lungimirante e di lungo periodo e gli investimenti indispensabili.

Purtroppo, non è con questa bussola che si sta muovendo l’attuale governo regionale di centrodestra. Oltretutto, la Regione -sul punto specifico della petrolizzazione- pur proclamando a parole di non volerla, tuttavia non muove un dito nei confronti del governo centrale per bloccarla.

Gli unici che si stanno muovendo concretamente contro questa prospettiva sono una serie di associazioni ambientalistiche, pur essendo anche il PD e le altre forze di centrosinistra contrari alle scelte del governo; ed è chiaro che le loro iniziative, pur encomiabili, non riescono per ragioni facilmente comprensibili a determinare quel grande movimento di popolo del quale ci sarebbe invece estremo bisogno per mettere fine al sogno dei petrolieri di impadronirsi del futuro dell’Abruzzo.

Non è un caso, del resto, che anche Costantino Felice -su questo punto- sottolinei la debolezza del movimento attuale contro la petrolizzazione, anche se la conclusione alla quale giunge nella sua intervista è che comunque la prospettiva petrolifera non passerà.

Ma perché questa debolezza? E si riuscirà davvero a superarla, trasformando così in realtà quella che oggi è, purtroppo!, solo la speranza di ricacciare nel nulla la prospettiva della petrolizzazione della regione?

Si tratta di due domande cruciali, legate l’una all’altra, rispetto alle quali però -partendo da ciò che nella seconda metà del ’900 ha caratterizzato la storia economica dell’Abruzzo- Felice dà di fatto risposte fuorvianti e pericolose.

Da esse io voglio invece partire. Non solo per dare qualche risposta al primo interrogativo: come uscire cioè dall’attuale debolezza del movimento, per creare le condizioni necessarie ai fini dello sviluppo di un robusto movimento popolare, in grado davvero di combattere e sconfiggere la petrolizzazione e i suoi, anche inconsapevoli, sponsor. Ma anche per fare alcune osservazioni su quella parte dell’intervista nella quale Felice richiama la lotta condotta nella prima metà degli anni ’70 (e conclusasi in modo vittorioso) contro quello che fu il primo tentativo di petrolizzare l’Abruzzo, con l’installazione alla foce del Sangro della raffineria della Sangrochimica: rifarsi alla nostra storia è importante, ma essa va letta per quella che effettivamente è stata, perché solo così essa ci può essere di aiuto nella situazione attuale.

All’epoca della lotta contro la Sangrochimica, io ero segretario provinciale del PCI, ho quindi partecipato attivamente (assieme a tutto il gruppo dirigente provinciale e regionale del PCI) a quella lotta e ho anche, altrettanto attivamente, contribuito a organizzarla e dirigerla; mentre Enrico Graziani era il sindaco di Paglieta, il Comune cioè che fu il cuore e la mente di quel grande movimento che alla fine sconfisse la Sangrochimica e, con essa, la DC e Gaspari.

Sia Enrico che io abbiamo anche scritto su quel movimento: in termini non soltanto di testimonianza su un periodo cruciale della storia, politica ed economica, dell’Abruzzo, ma anche per cercare di portare alla luce le ragioni che consentirono agli abruzzesi di concludere vittoriosamente quella battaglia. Ragioni che, proprio guardando alla situazione attuale, forse è utile conoscere meglio e approfondire. E, per chi vuole, c’è anche la possibilità concreta di farlo: per quanto mi riguarda, è a disposizione sul blog il mio libro Lotte politiche e sociali in provincia di Chieti negli anni ’60 e ’70 del ’900 – Il ruolo del PCI, con un capitolo specifico dedicato alla Sangrochimica (sezione Libri, pag. 123); mentre, per quanto riguarda Enrico Graziani, egli ha pubblicato recentemente, con IRES Abruzzo, La Sangrochimica, una vittoria per il futuro, che contiene molte notizie anche a proposito delle grandi manifestazioni popolari dell’epoca, delle forze impegnate a realizzarle e degli sforzi che furono necessari per portarle al successo.

Ma torniamo alle domande che Costantino Felice non si pone, e che invece è fondamentale porsi, e al confronto che egli fa tra la lotta contro la Sangrochimica e quella attuale contro la petrolizzazione.

Secondo Felice, la storia più recente dell’Abruzzo è stata caratterizzata da tre rivoluzioni: quella agricola, con le lotte del Fucino all’inizio degli anni ’50 e la riforma agraria che ne seguì; quella verde, con la creazione di parchi e riserve naturalistiche in tutte le province della regione; quella industriale, con l’introduzione di un modello di industrializzazione molto specifico, in armonia con i valori ambientali, e alla cui base vi è appunto la sconfitta subìta dalla Sangrochimica e dai suoi fautori nella metà degli anni ’70.

E’ una periodizzazione che mi pare si possa condividere. Meno condivisibile mi sembra invece la spiegazione che egli dà del successo di queste rivoluzioni.

Felice sottolinea infatti, nell’intervista, come alla base di queste tre rivoluzioni c’era “un grande protagonismo di massa”. “Quelle scelte, egli aggiunge, sono state decise dalla società civile più che dalle forze politiche dell’epoca. Oggi, invece, la società civile è assente, anche se c’è una certa mobilitazione dell’opinione pubblica“ sul tema della petrolizzazione.

Ma le cose stanno proprio come le descrive Felice? A me pare di no; e spiego.

E’ sicuramente vero che alla base del successo di quelle tre rivoluzioni c’è stato un grande protagonismo di massa; del tutto infondata invece è la teoria secondo la quale in questi tre momenti decisivi della vita regionale sia da considerare come un fatto di secondo piano il ruolo delle forze politiche.

Non solo perché, tra le caratteristiche fondamentali dei partiti di massa del ’900, è stata sempre di particolare importanza la capacità di legare strettamente lotta politico-istituzionale e lotta sociale. Ma anche e soprattutto perché a dirci il contrario di quel che afferma Felice è la storia stessa di quelle rivoluzioni.

D’altra parte, è un po’ difficile pensare che il protagonismo di massa di cui egli parla, di qualunque colore e caratteristica esso sia, possa essere semplicemente il frutto della spontaneità e della reattività autonoma della società civile, è come dire che è stato lo Spirito Santo a mettere in moto un grande movimento popolare e a guidarlo.

Nel Mezzogiorno, tra l’altro, abbiamo avuto anche -in molti momenti della sua storia- movimenti popolari spontanei che puntualmente però si sono sempre trasformati in un boomerang, a volte catastrofico, per coloro che ne erano stati i protagonisti. Un movimento realmente capace di durare e di crescere, raggiungendo alla fine i suoi obiettivi, ha sempre alle spalle una direzione politica forte e consapevole. Ed è proprio quello che è accaduto in occasione, ad esempio, sia delle grandi lotte per la terra e il lavoro nel Fucino che nella battaglia contro la Sangrochimica.

Dietro la lotta vittoriosa del Fucino c’erano i sindacati (la CGIL, soprattutto), il PCI, il PSI e pezzi della DC, oltre a personalità indipendenti di varia estrazione: per convincersene basta leggere il libro (IRES ABRUZZO) Le vicende del Fucino dal 1670 ai nostri giorni di Antonio Rosini , che fu uno dei protagonisti di quella lotta, per rendersene conto. Come dietro la battaglia contro la Sangrochimica ci furono il PCI innanzitutto, una parte del PSI, pezzi della DC, i Comuni diretti dalla sinistra, personalità della cultura e dell’ambientalismo del Sangro e, sul piano nazionale, parte della grande stampa e della cultura, la scelta dei sindacati di battersi per la Sevel nel Sangro (anziché per la Sangrochimica) e quella del PCI di chiedere al governo -in occasione della Conferenza nazionale sulla chimica (Milano, febbraio 1976) organizzata dalla sezione economica del partito, diretta allora da Giorgio Napolitano- il ritiro del progetto della raffineria.

In altre parole, le forze politiche, sia nel caso del Fucino che della Sangrochimica, hanno avuto un ruolo fondamentale.

Perché allora negare, o quanto meno occultare, questo ruolo?

E’ vero che oggi i partiti vanno poco di moda e c’è molta antipolitica in giro, anche tra i gruppi ambientalisti che cercano di animare la lotta contro la petrolizzazione; e questo non aiuta certamente l’allargamento delle forze impegnate nella lotta, sia all’interno delle istituzioni e sul piano politico che nell’organizzazione del movimento di massa.

La storia, al di là di ogni mitizzazione della cosiddetta società civile e di ogni tentativo di nascondere il reale svolgimento dei fatti, ci dice invece altro. E allora: se vogliamo che si creino le condizioni giuste per portare la grande opinione pubblica a lottare contro la scelta petrolifera e le forze politiche e imprenditoriali che ne sono gli sponsor e i soli beneficiari, bisogna, al contrario, augurarsi e lavorare perché le forze più grandi del centrosinistra, ricercando contemporaneamente punti possibili di incontro anche con le forze del centrodestra più sensibili alle ragioni dell’Abruzzo regione verde d’Europa, scendano in campo e prendano la testa del movimento. Non aspettare, quindi, il protagonismo di massa ispirato dalla Spirito Santo; ma darsi da fare perché il movimento abbia alle spalle una direzione politica forte, consapevole, aperta e capace di far durare e crescere il movimento popolare contro la petrolizzazione e di coniugare anche le necessarie iniziative politiche e nelle istituzioni con lo sviluppo della lotta sociale.

Questa è la lezione vera che ci viene dalle rivoluzioni di cui parla Costantino Felice nella sua intervista su Il Centro e dalle forze che, a suo tempo, hanno concretamente reso possibile il protagonismo di massa che le ha caratterizzate

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